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RIFIUTI E ARMI IN SOMALIA E MOZAMBICO, LA STORIA DI ILARIA ALPI
11 feb 2004
Pubblichiamo la trascrizione integrale dell’audizione tenuta dai magistrati Gualdi e Romanelli alla Commissione parlamentare d’inchiesta sul traffico dei rifiuti che si è svolta il 28 gennaio.
SCONVOLGENTE - RIFIUTI E ARMI IN SOMALIA E MOZAMBICO, LA STORIA DI ILARIA ALPI

Milano, 9 febbraio - Pubblichiamo la trascrizione integrale dell’audizione tenuta dai magistrati Gualdi e Romanelli alla Commissione parlamentare d’inchiesta sul traffico dei rifiuti che si è svolta il 28 gennaio.
Audizione dei sostituti procuratori della Repubblica presso il tribunale di Milano, Gemma Gualdi e Maurizio Romanelli.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione dei sostituti procuratori della Repubblica presso il tribunale di Milano, Gemma Gualdi e Maurizio Romanelli.
La Commissione sta svolgendo una specifica indagine volta ad approfondire taluni specifici profili inerenti alla vicenda dell'omicidio della giornalista Ilaria Alpi e dell'operatore Milan Hrovatin, cui sarebbero connessi aspetti, di competenza della Commissione medesima, che riguarderebbero l'acquisizione di informazioni relative a presunti traffici illeciti di rifiuti radioattivi con la Somalia.
Ricordo che la Commissione ha già ascoltato su tale materia i giornalisti di Famiglia Cristiana, Alberto Chiara, Barbara Carazzolo e Luciano Scalettari, i coniugi Alpi, il sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma, Franco Ionta, il sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale de L'Aquila, Giuseppe Pititto, l'avvocato D'Amato ed il sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Asti, Luciano Tarditi.
Nel rivolgere un saluto ed un ringraziamento per la disponibilità manifestata, darei ora la parola alla dottoressa Gemma Gualdi, quindi al dottor Maurizio Romanelli, riservando eventuali domande dei colleghi della Commissione al termine del loro intervento.
GEMMA GUALDI, Sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Milano. Signor presidente, lavoro attualmente alla procura della Repubblica di Milano, alla direzione distrettuale antimafia. Ai tempi cui si riferiscono i particolari di cui devo parlare mi occupavo di reati contro la pubblica amministrazione all'interno dell'apposito dipartimento.
Con molto stupore, oltre che con ringraziamento nei vostri confronti, sono qui oggi, sia perché gli accertamenti giudiziari espletati all'interno della mia indagine toccano soltanto di sfuggita l'oggetto centrale della vostra Commissione, sia perché ho già diffusamente riferito davanti alla Commissione parlamentare d'inchiesta sull'attuazione della politica di cooperazione con i paesi in via di sviluppo, presieduta dal senatore Mensorio, nel 1995.
Sono venuta a conoscenza dei fatti che oggi vi possono interessare partendo da molto lontano, in particolare - come ho detto, mi occupavo di reati contro la pubblica amministrazione - da una vasta indagine esistente allora negli uffici milanesi nei confronti di plurimi soggetti imprenditori e politici per l'effettuazione di alcuni lavori; si trattava di appalti, ed io indagavo in modo particolare su quelli eseguiti nei paesi in via di sviluppo.
Un particolare campo operativo degli imprenditori italiani e soprattutto milanesi, tant'è la mia competenza, si era svolto nel territorio somalo. In particolare ricordo che nei primi mesi del 1993 si presentò spontaneamente in procura per rendere le proprie dichiarazioni un soggetto somalo, che ai tempi svolgeva le funzioni di presidente della camera di commercio di Mogadiscio, il quale intendeva rivelare alcuni accadimenti e riferire alla magistratura italiana quanto era a sua conoscenza in merito alle attività che, in una prima fase, potevano sembrare soltanto di espansione dell'industria italiana e dell'imprenditoria
milanese nei paesi più bisognosi. Questo soggetto somalo ha iniziato a raccontare dell'esistenza di una gran quantità di lavori prestati da imprenditori milanesi nel suo territorio di appartenenza, inquadrati sotto una prospettiva commerciale e di regolarissima trattativa di provvigioni, in base alla quale entrambe le composizioni nazionali, quella italiana e quella somala, guadagnavano dallo svolgimento di questi lavori all'estero, quella che normalmente viene indicata come una percentuale a titolo di provvigione. Certamente sotto la prospettiva penale questa provvigione assume altri nomi, ma nel momento e per l'oggetto che qui interessa credo sia sostanzialmente rilevante il fatto, al di là dell'inquadramento commerciale o penale, della tangente e/o provvigione di cui ci parlavano questi soggetti. Ci spiegavano come questi soggetti operanti in Somalia, che intrattenevano rapporti con gli imprenditori italiani e quindi con gli uomini politici del tempo, a tutti ben noti, trattavano appalti per importi assolutamente esorbitanti per il tempo (i primi lavori risalgono agli anni settanta), in quanto si parlava di circa 2.000 miliardi complessivi annui. Certamente si trattava di un giro di affari di notevole consistenza.
Al di là di tutto questo, i soggetti di cui ho parlato hanno preso a parlare - devo sottolinearlo - quasi con ironia, con la convinzione di assoluta regolarità e normalità, come se non vi fosse alcun profilo di possibile rilevanza penale, anche in relazione alla trattativa commerciale del traffico di armi. In particolare riferivano che di questa esportazione di prodotto italiano faceva parte anche quella dell'arma, intendendo sia la singola arma leggera sia i carri armati di cui molto si è sentito parlare e si è letto sui giornali. In sostanza riferiscono dinanzi all'autorità giudiziaria che vi sono plurimi incontri presso le varie ditte milanesi che producono armi oppure oggetti di precisione, come questi acquirenti esteri vengono accompagnati da esponenti del nostro mondo politico oltre che di quello imprenditoriale, come provano le armi, come le sperimentano nelle sale balistiche appositamente interrate e protette, ed infine come vengono acquistati consistenti quantitativi di armi di vario genere.
Dunque, il mio interesse, nel prosieguo delle indagini, si è concentrato nell'assumere informazioni nei confronti di quegli imprenditori indicati originariamente dai soggetti somali, imprenditori che ampiamente hanno confermato quanto vi ho finora descritto. In particolare hanno parlato di alcuni progetti imprenditoriali in vari settori, come quelli dell'agricoltura, dell'estrazione dell'acqua, della costruzione delle strade (la famosa Garoe-Bosaso che certamente conoscete), nonché nell'ambito della pesca. A questo proposito si parla ampiamente di un determinato progetto che assume molte denominazioni, ma che in pratica è il progetto Somit fish o quello della ditta SEC, di un imprenditore veneto che aveva fornito alcuni pescherecci in Mogadiscio, peraltro dotati - non ho mai avuto il piacere di osservarli direttamente, ma tutti i testimoni lo riferiscono - di strutture interne poco adatte al trasporto del pesce ma più idonee a trasporti di altro genere di merci. In particolare, viene riferito ampiamente da parte degli imprenditori milanesi di come questi pescherecci venissero largamente utilizzati per continue attività di trasporto, certamente a titolo non di armatore o di vettore, ma di esecuzione di un progetto di pesca effettuato dall'imprenditore italiano in collaborazione con il Governo somalo, inteso a seguire alcuni interessi; si parla esplicitamente degli interessi dell'allora Siad Barre. Molti imprenditori confermano di essere a conoscenza dell'avvenuto trasporto di armi, dell'avvenuta fornitura di armi in cambio di un'espansione dell'imprenditoria milanese, che
otteneva nel proprio bilancio interno il capitolo particolare dei lavori effettuati all'estero, che consentiva sulla carta e di fatto di movimentare un importo di denaro e un giro di lavori decisamente molto aumentato, con la garanzia della capienza del mercato somalo, e si dice che all'interno di quest'attività di esportazione di merci italiane certamente rientravano i carri armati, le armi, le munizioni di cui ho ampiamente detto.
Per ritornare alla vicenda dei pescherecci, che non è certamente limitrofa con il caso di Ilaria Alpi, e vi spiegherò il perché, risultavano addirittura interrogati numerosi marinai che raccontavano come, notte tempo, tali pescherecci rallentassero la loro corsa in mare aperto, venissero affiancati da alcune barche, e i marinai, come accade all'ortomercato con le cassette della frutta, con la forza delle braccia, trasportassero le casse contenenti munizioni o armi leggere, che venivano poi trasportate a Mogadiscio, non potendo quelle navi attraccare nei porti regolari.
Perché questa premessa per arrivare a configurare questa dettagliata descrizione del rapporto di compravendita di mitragliette, di carri armati, di munizioni con la Somalia all'interno della vicenda di Ilaria Alpi? Perché sembrava, dalla fase iniziale delle indagini da me seguite, che il giorno immediatamente precedente a quello in cui è stata uccisa, Ilaria Alpi avesse appena intervistato il famoso e ben noto ingegner Mugne, proprio in relazione a vicende inerenti alle navi di cui vi ho detto e all'attività di trasporto mercantile, non proprio di pesce, che tali navi pare effettuassero da lungo tempo.
Ricordo in particolare la presentazione spontanea che era stata fatta dai genitori di Ilaria Alpi che riferivano, anche sulla base dei taccuini di cui loro sono a conoscenza e della vicenda travagliata di questi taccuini, di cui si è ampiamente detto, la loro certezza, non processualmente poi comprovata e la loro assoluta consapevolezza morale che la figlia fosse stata assassinata perché aveva scoperto un qualcosa relativo al traffico di armi con quel paese, cosa che evidentemente avrebbe dato molto fastidio ad uno dei due gruppi di potere che allora politicamente si contendevano il paese.
Come ho detto, molti imprenditori italiani hanno ampiamente confermato questa versione, ed in particolare hanno riferito che la necessità della Somalia, in quel momento di aperta guerra intestina, era quella di recepire la maggiore quantità possibile di armamenti, tant'è che addirittura Siad Barre avrebbe personalmente chiesto ad uno dei nostri uomini politici - si è fatto il nome di Paolo Pillitteri - degli aiuti in armi, sostenendo la richiesta con la grave situazione politica interna del paese e dei contrasti con l'Etiopia. Vi era gran "fame" di armi in un paese che, pur essendo in guerra sia all'interno sia all'esterno dei propri confini, ne era di fatto assolutamente privo. Si parlava di progetti di fornitura di armi per migliaia di dollari di allora; a quel tempo vi era l'interessamento da parte di alcuni personaggi italiani per quella fornitura di carri armati Oto Melara di cui la Commissione è certamente a conoscenza.
L'indagine è proseguita e sono stati sentiti numerosi soggetti che operavano quali tecnici all'interno della cooperazione con i paesi del Terzo mondo, in particolare con la Somalia; ricordo soprattutto alcuni esperti ingegneristi o amministrativi che hanno visto con i propri occhi le fasi immediatamente successive all'omicidio di Ilaria Alpi e che hanno raccontato, a me inquirente, la loro convinzione - ma ancora una volta si tratta di deduzioni di testi oculari - che la giornalista fosse stata uccisa perché aveva messo il naso in qualcosa che era troppo delicato e pericoloso per gli equilibri interni di quel paese.
Alcuni tecnici della cooperazione hanno riferito della scenografia in cui Ilaria Alpi era inserita, dei contatti con i nostri soggetti diplomatici, dei contatti con alcuni militari (penso al maggiore Rajola) e riferiscono come la giornalista avesse abbondantemente tratto informazioni e commenti circa quest'attività di trasporto delle navi dall'Italia alla Somalia, di cui vi ho già detto.
Con riferimento più specifico all'oggetto centrale di interesse della Commissione non posso - ahimè - far altro che dedurre come nulla di concreto - per un pubblico ministero o per un giudice parlare di concreto significa comprova giudiziariamente sostenibile e con forza probatoria anche davanti ad un dibattimento - sia emerso in relazione allo scambio tra merci e scorie tossiche o tra armi e rifiuti tossici.
Si è sempre intraveduta la possibilità che ci fosse in realtà un passaggio o un trasferimento di altro oltre ai campi militari, al pescato delle navi, al pellame delle ditte, ai pozzi per estrarre l'acqua, insomma a quanto di pacificamente, cartaceamente e documentalmente veniva trasferito o prodotto in quel paese ma nulla di giudiziariamente probante è mai stato - quanto meno da me -raccolto con riferimento al passaggio manifesto e inequivoco tra materiale "x" e scorie tossiche. Tuttavia, di questo argomento si è parlato, si è detto e vi sono state numerose indicazioni di soggetti: parlo di nomi certamente a loro conosciuti; parlo del notorio Marocchino, di Guido Garelli, di Elio Sacchetti e di soggetti che si diceva allora fossero derivanti anche da appartenenze ad associazioni segrete italiane e che avrebbero fatto parte di quei passaggi
che figuravano come passaggi commerciali regolari ma, in realtà, aventi ad oggetto merci differenti e cioè armi in cambio di scorie tossiche.
Devo, tuttavia, riferire come dal punto di vista della mia prospettiva - che non può che essere quella giurisdizionale di una prova che abbia rilevanza e dignità tale anche dinanzi ad un dibattimento e ad un giudizio - che nulla al riguardo è stato mai ritenuto come raggiunto e comprovato. Pertanto, sono qui oggi a riferire che, all'epoca, dell'argomento si è dinanzi a me, nel corso delle mie indagini, ampiamente trattato e che molti soggetti ne hanno fatto cenno, quantomeno come ipotesi di lavoro o come prospettiva idonea a giustificare gli accadimenti che di fatto non ottenevano in altra forma alcuna motivazione o giustificazione; ma, debbo aggiungere, nulla di tutto questo ha mai assunto la dignità di prova: non a caso, infatti, mi sono guardata bene dal condurre chicchessia a dibattimento sulla base di informazioni fornite da soggetti il cui ruolo è sempre stato a cavallo tra il manifesto e il nascosto, tra il regolare e, forse, il penalmente discutibile.
Di tutto ciò vi tratto oggi con assoluta estrema sintesi poiché, come anticipato, ne ho ampiamente trattato nel corso di un lunghissima audizione dinanzi alla Commissione d'inchiesta sull'attuazione della politica di cooperazione con i paesi in via di sviluppo, proprio tra queste mura, il giorno 13 giugno 1995. È evidente che, ancorché sia proceduralmente complicato, assumendo la verbalizzazione e la trascrizione in forma di resoconto stenografico di quella seduta, si può ampiamente e con ben maggiori dettagli e particolarità giungere ad una ricostruzione completa dello stato delle indagini allora in pieno divenire e, dunque, fresche nella loro concretezza quotidiana, mentre oggi sono semplicemente un ricordo, forse, di verità storiche. A quell'epoca ho prodotto numerosi verbali qui lungamente elencati: se il presidente lo ritiene, posso anche lasciare agli atti questa traccia in modo da poter eventualmente risalire ai documenti.
Debbo inoltre ribadire che, al di là di quanto otto o nove anni fa da me ampiamente riferito, la stessa Commissione di inchiesta sulla cooperazione negli anni di cui ho detto, aveva effettuato importanti acquisizioni. In particolare, nel gennaio-febbraio 1996 alcuni membri della Commissione si erano addirittura recati in missione a Mogadiscio e a Gibuti. In quella circostanza - ho qui il resoconto e, se il presidente lo desidera, è a sua disposizione - alcuni membri della Commissione (ricordo, tra gli altri, l'onorevole Gritta Grainer, se non sbaglio, anche l'onorevole Brunetti) avevano raccolto numerosissime ed importanti informazioni direttamente nel paese interessato. La vicenda di Ilaria Alpi era allora attualissima e, dunque, la Commissione assunse sul posto informazioni in ordine all'ambito e alla scenografia locale in cui tale omicidio era avvenuto e sui possibili obiettivi da parte dei mandanti. La Commissione concluse i suoi lavori affermando "la gente, all'unanimità, dice che la giornalista italiana è stata uccisa perché sapeva qualcosa che non doveva sapere, perché sapeva qualcosa di troppo", salvo poi vagare anch'essa nel comprendere con più esattezza quale fosse la notizia fondamentale che ne aveva causato la morte: le navi della Shifco (di cui ho già detto), che probabilmente non trasportavano solo pescato bensì altro? La ricezione di armi da parte di non si sa chi o di quale delle due fazioni allora militarmente armate a Mogadiscio? Il famigerato trasferimento di scorie tossiche?
Ricordo solo che nel resoconto dei lavori svolti durante la missione dai membri della Commissione d'inchiesta sulla cooperazione, vi è un'ampia stesura delle dichiarazioni rese da Marocchino che, come ognuno di voi certamente sa, ha grande parte nelle vicende italiane politiche e commerciali, al confine (potremmo dire border-line) con ogni aspetto che qui può interessare e del quale si era ampiamente occupato. Marocchino formalmente svolgeva il ruolo di trasportatore e dichiarava formalmente di essere colui che si occupava di trasportare le merci da una parte all'altra del paese. Peraltro, interrogato in un certo giorno, con alcune casse in mano, da parte di soggetti militari delle forze militari internazionali del tempo (allora erano soprattutto soldati americani), i quali avevano accostato il nostro connazionale e al quale avevano chiesto cosa stesse trasportando da Mogadiscio a Balcad, rispose che si trattava di contenitori dell'esercito italiano poiché egli stava lavorando - così si è qualificato - in nome e per conto dell'esercito italiano e dunque stava evidentemente (così disse ai militari americani) trasportando armi per l'esercito italiano. Evidentemente, si tratta di dichiarazioni inquietanti che peraltro la Commissione di cui ho parlato ha ampiamente valutato e commentato.
Inoltre, nel verbale della Commissione del 1996 si riferisce, a proposito dell'attività della società Shifco - ovvero di quelle navi italiane di cui nessuno ha mai accertato con esattezza che cosa trasportassero - quanto accertato, anche tramite l'audizione di organismi diplomatici italiani presenti sul territorio somalo, su quale fosse l'ambito delle indagini della giornalista italiana, quale fosse lo stato delle sue conoscenze con riferimento alle navi Shifco, che avrebbero lavorato per l'ingegner Mugne e su quali fossero i rapporti con l'allora colonnello Rayola. Sempre nei verbali dell'attività all'estero di quella Commissione si parla del ruolo del nostro connazionale Garelli e di altro soggetto italiano da loro certamente già sentito, ovvero il ben noto Giovagnini, che viene indicato da soggetti interrogati dai membri della Commissione, come colui che forniva direttamente le armi a Siad Barre.
Con riferimento, invece, alle scorie nucleari, la Commissione all'epoca aveva interrogato l'ingegner Mugne, proprio sul fatto che venissero scaricate nel nord della Somalia per essere poi depositate o nascoste in alcuni territori. Peraltro, questo soggetto somalo ben addentro alla conoscenza di molte vicende locali riferisce che, poiché il porto non poteva essere adibito a tale scopo, tali scorie sarebbero state nascoste in una zona settentrionale del paese; tuttavia - conclude l'ingegner Mugne riferendo ai membri della Commissione di cui ho detto - egli non avrebbe certamente potuto riferire elementi di certezza. Vale la pena di sottolineare, per un tocco di colore, che l'ingegner Mugne quando ricevette i membri della Commissione bicamerale d'inchiesta sulla cooperazione, ne chiese l'identificazione e la qualificazione: lo chiese ad un membro dopo l'altro, per conoscerne bene il vissuto personale e politico di appartenenza, il che evidentemente dice molte cose in merito alla comprensione e al ruolo di quel soggetto nella gestione degli accadimenti.
Credo che tanto possa bastare per quanto oggi di interesse della Commissione. Ritengo che sarebbe utile - e, se il presidente lo consente, lo lascerei agli atti - il resoconto della Commissione sulla cooperazione, soprattutto per la parte in cui i membri lì recatisi riferiscono di quanto hanno accertato - in ciò, lavorando in parallelo con l'attività del mio ufficio di Milano - sull'attività degli imprenditori italiani con i governatori somali, con i gruppi politici somali, con il trasferimento di beni in cambio di armi e, forse, di luoghi dove nascondere qualcosa che i paesi industrializzati non sapevano o non avevano modo di eliminare diversamente. Pertanto, se il presidente lo consente, posso consegnare agli atti tale documentazione.
PRESIDENTE. Certamente, dottoressa Gualdi. Acquisiamo con piacere la documentazione che lei ci sta fornendo.
GEMMA GUALDI, Sostituto procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Milano. Come ho anticipato, tutte le mie indagini hanno avuto un esito processuale non positivo, nel senso che alcuni fatti forse di inequivoca rilevanza penale e alcuni episodi di corruzione sono stati trasferiti per competenza all'autorità giudiziaria romana poiché, evidentemente, i fatti di corruzione - se esistenti - attenevano ad organismi romani: parlo, in particolare, del Ministero degli esteri e degli organismi internazionali interessati, come ad esempio il FAI (Fondo aiuti italiani) allora operante e ben noto rispetto a tali vicende. Quindi, gli episodi - diciamo così - penalmente più delineati sono stati trasmessi per competenza all'autorità giudiziaria, soprattutto l'autorità giudiziaria romana, nel 1995, nonché ad altre dislocazioni distrettuali. Vi sono stati altri trasferimenti di atti e procedimenti nel 1995 anche con riferimento ad altre ipotesi di reato, comunque sempre attinenti ai reati contro la pubblica amministrazione.
Ho, invece, personalmente gestito le vicende relative all'indagine sul traffico di armi: tuttavia, pur contenendo tale indagine elementi forse più descrittivi, più qualificanti e personificanti dei fatti di cui vi ho oggi riferito solo in estrema sintesi, questa indagine non ha potuto addivenire alla dignità di quella prova che è necessaria perché tali fatti vengano giudicati e comprovati e vengano attribuiti con i criteri che, grazie a Dio, la nostra giurisdizione impone in capo a chicchessia. Dunque, l'indagine si è svolta con un gran
dispendio di energia, di tempo e di attenzione, così come è necessario per affrontare questo genere di verità, di accadimenti che credo non siano irrilevanti da conoscere, al di là della loro dignità processuale; tuttavia, la mia conoscenza rimane talora a livello di elementi ipotizzati o di accadimenti sospettati, talora a livello di fatti comprovati: però, per far addivenire tali verità alla dignità di prova penale, gli spazi e gli strumenti che la procedura penale ci fornisce non si sono rivelati né idonei né sufficienti. Dunque, vi fornisco un quadro, talora di verità sospettate, talora di accadimenti comprovati, ma che sul piano processuale non hanno potuto vedere sbocchi differenti da quello della ricostruzione di meri accadimenti storici e politici.
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