Imprès des de Indymedia Barcelona : http://barcelona.indymedia.org/
Independent Media Center
Notícies :: corrupció i poder : criminalització i repressió : especulació i okupació
Artículo sobre Barcelona en "il Manifesto" [it][es]
26 oct 2007
Artículo de Alessandro Portelli, publicado en "Il Manifesto" del 24 de octubre 2007.
[it]

"Mia figlia ha un polso lussato da una manganellata della polizia. Dice, mi fa ancora male. E io: abbiamo uno spray che ti fa passare il dolore, a casa. Come l’ho detto, mi è sceso il gelo addosso. Casa non esiste più."

Barcellona, come tante città di cui siamo orgogliosi, è bella buona e colta. E se non sei "bello" "buono" e "colto" in queste città non ci puoi stare. La signora Aurora ha abitato fino alla settimana scorsa al Bon Pastor, un quartiere popolare di Barcellona, piccole case (casas baratas) costruite nel 1929 per gli operai. In quella casa c’è nata lei, c’è nata sua madre e c’è nata sua figlia. L’avevano sistemata nel corso delle generazioni, resa confortevole, fatta propria, sentita come cosa loro anche se continuavano a pagare un affitto. Era un quartiere di case basse, colorate, in cui i vicini si conoscono, si incontrano in strada, i bambini girano per il quartiere, come un paese. Da più di un anno, lei e altre quattro famiglie resistono al progetto del comune modernizzatore e progressista, che progetta di liberare quella ormai pregiata zona urbana (ci deve passare l’Alta Velocità…) e trasferire gli abitanti in moderni appartamenti. Nel corso del tempo, la comunità si è divisa e frantumata, una parte ha accettato la proposta, altri hanno trattato, altri ancora – come la signora Aurora e i suoi vicini – avevo resistito. C’era stata un'inchiesta socio-antropologica, una campagna di solidarietà, gruppi di appoggio dei collettivi e dei movimenti, lettere di supporto da tutto il mondo, un progetto alternativo elaborato da architetti solidali. Non è servito a niente. Il "progresso" non si ferma (anche a Roma, a Tor Sapienza, per aprire la strada all’Alta Velocità, sono volati i manganelli. Per non parlare della Val di Susa).

Venerdì mattina, alle otto, si presenta in forze la polizia, entrano in casa, le danno pochi minuti per prendere le sue cose di tre generazioni e andarsene. Lo sgombero è illegittimo, non tutte le vie legali sono state percorse e concluse, ma non conta. Vicini solidali e compagni dei gruppi di appoggio si raccolgono, gridano, protestano. Improvvisa, completamente a freddo, parte la carica. I manganelli piombano su vecchi, donne, malati, bambini. Un poliziotto afferra per la gola José, il marito di Aurora. Urlando, corrono dietro a un attivista del gruppo di appoggio, lo coprono di manganellate in testa e sulle braccia, lo trascinano in un furgone, le perquisiscono, lo riempiono di botte, lo minacciato ("te vamos a enmarronar", ti roviniamo, ti mettiamo nei guai). Un giornalista ne esce con un dito rotto, che è un peccato per lui ma una cosa buona perché tutte le televisioni di Spagna per una volta fanno vedere come veramente sono andate le cose, la carica brutale, immotivata, l’accanimento insensato. Nei suoi racconti, la signora Aurora insiste sul terrore, il disorientamento, la perdita di senso che legge negli occhi del suo cane – il grado zero dell’innocenza inspiegabilmente offesa.

Giro per il Bon Pastor il giorno dopo. Sul selciato, fotografo il sangue di Sergio, un ragazzo del quartiere che gira adesso con una grande benda sul sopracciglio spaccato dai manganelli. Le case sono già murate, i tetti sfondati – efficienza, sollecitudine. Sulla facciata della casa di Aurora e José, la scritta "seguimos vivendo", siamo ancora vivi, abitiamo ancora qui, diventa un’accusa muta alle guardie che dalla camionetta vigilano che nessuno si avvicini.

Le famiglie sono state trasferite "temporaneamente" in un albergo, anche confortevole. Scherzano, ironizzano – "non mi voglio perdere neanche un pasto a spese del comune" – sembrano sereni e tranquilli, pare una vacanza. Ma non riescono a dormire, tormentati da immagini che ritornano e che non credevano nemmeno di ricordare. In un’assemblea al centro di Barcellona, uno di loro dice, "abbiamo perso una battaglia, non abbiamo perso la guerra." Al Bon Pastor non ci torneranno più, un pezzo di storia e di identità di Barcellona (e dell’Europa proletaria, antifascista) si avvia a scomparire proprio mentre il governo Zapatero prova a varare una controversa legge sulla memoria storica, che non basta e non soddisfa ma almeno afferma un principio che in Italia stiamo demolendo: non si possono mettere sullo stesso piano gli antifascisti e i fascisti, i franchisti e i repubblicani. E la chiesa cattolica, ostinata parte in causa, risponde beatificando le proprie vittime della guerra civile, e solo quelle (e neanche tutte: non i preti ammazzati dai franchisti, che pure ci furono).

Ma prosegue la battaglia legale: se devono andare a chiudersi un appartamento, almeno lo vogliono come dicono loro e dove vivono loro, e con un indennizzo che tenga conto non solo delle perdite materiali ma anche del dolore.

Il giorno dopo la violenza dello sgombero, era già programmata un’assemblea dei quartieri in lotta di tutta Barcellona. Il luogo si chiama il Forat de la vergonya, il "buco della vergogna": uno spazio in un quartiere popolare storico che il comune voleva trasformare in un parcheggio e che gli abitanti, per una volta, sono riusciti a salvarne per farne uno spazio pubblico e aperto. Seduti in cerchio, passandosi il microfono, ragazzi dei collettivi “okkupa� e anziani dei quartier popolari confrontano esperienze, provano a coordinarsi. Sui palazzi intorno, striscioni appesi alle finestre proclamano, rimozione urbana che si manifesta sotto forma di espulsione degli abitanti storici da quartieri diventati appetibili, "barcelona, posa’t guapa": Barcellona, fatti bella. Per farsi bella, Barcellona caccia i barcellonesi dalla Mina, dal Raval, da Barceloneta, dal Bon Pastor.
Ricordiamocelo,la prossima volta che andiamo a spasso per le Ramblas.





[es]

"Mi hija tiene una muñeca esguinzada por un porrazo de la policía. Dice que todavía le duele. Y yo: tenemos un espray contra el dolor, en casa. Nada más lo dije y sentí un escalofrío: casa, ya no está".

Barcelona, como tantas ciudades de las cuales estamos orgullosos, es bonita, buena y culta. Y si no eres "bonito", "bueno" y "culto" en estas ciudades no puedes vivir. La señora Aurora vivió hasta la semana pasada en Bon Pastor, un barrio popular de Barcelona, pequeñas casas (casas baratas) construidas en 1929 para los obreros. En esa casa nació ella, nació su madre y nació su hija. La habían arreglado en tantas generaciones, la hicieron acogedora, la hicieron propia, y la sentían propia aunque si seguían pagando el alquiler. Era un barrio de casas bajas, de colores, en qué los vecinos se conocen, se encuentran en la calle, los niños van por el barrio como en un pueblo. Hace más de un año, ella y otras cuatro familias resisten al plan del ayuntamiento modernizante y progresista, que quiere liberar esa zona urbana ya muy preciada (por ahi pasará la Alta Velocidad...) y trasladar a sus habitantes en modernos bloques de pisos. Durante el tiempo la comunidad se ha dividido y frantumado, una parte aceptó la propuesta, otros trataron, otros más – como la señora Aurora y sus vecinos – habían resistido. Hubo una encuesta socio-antropológica, una campaña de solidaridad, grupos de apoyo de colectivos y de movimientos, cartas de apoyo de todo el mundo, un plan alternativo elaborado por arquitectos solidarios. No servió de nada. El “progreso� no se para (en Roma también, en Tor Sapienza, para abrir camino a la Alta Velocidad, volaron los porrazos. Para no hablar de la Val di Susa).

Viernes por la mañana, a las ocho, se presenta en fuerzas la policía, entran en su casa, le dan pocos minutos para recoger sus cosas de tres generaciones y para marchar. El desalojo es ilegítimo, no todas las vías legales habían sido agotadas, pero no importa. Vecinos solidarios y compañeros de grupos de apoyo se acercan, gritan, protestan. Improvisa, completamente en frío, empieza la carga. Los porrazos caen sobre ancianos, mujeres, enfermos, niños. Un policía coge por el cuello José, marido de Aurora. Gritando, corren detrás de un activista del grupo de apoyo, lo llenan de porrazos, lo amenazan ("te vamos a enmarronar"). Un periodista sale con un dedo roto, que es una lástima por él, pero cosa buena porque todas las teles de España por una vez enseñan como realmente fueron las cosas, la carga brutal, sinrazón, la violencia sin sentido. En sus relatos, la señora Aurora insiste sobre el terror, la pérdida de orientación y de sentido que lee en los ojos de su perro – el grado cero de la inocencia, inexplicablemente ofendida.

Paseo por Bon Pastor el día siguiente. En la acera, fotografo la sangre de Sergio, un chico del barrio que ahora tiene una gran venda en la ceja rota por los porrazos. Las casas ya estan tapiadas, los techos rotos – eficiencia, rapidez. En la fachada de la casa de Aurora y José, la pintada "seguimos viviendo" se convierte en una acusación silenciosa a los guardias que desde la furgoneta vigilan que nadie se acerque.

Las familias han sido trasladadas "temporaneamente" en un hotel, incluso algo confortable. Bromean, ironizan - "no me voy a perder ninguna comida pagada por el ayuntamiento" - parecen serenos y tranquilos, parecen unas vacaciones. Pero no pueden dormir, atormentados por imágenes que les vuelven a la cabeza y de que creían ni acordarse. En una asamblea al centro de Barcelona, uno de ellos dice "hemos perdido una batalla, pero no hemos perdido la guerra". No volveran a Bon Pastor, un trozo de historia y de identidad de Barcelona (y de Europa proletaria, antifascista) se encamina hacia la desaparición justo cuando el gobierno de Zapatero intenta aprovar una debatida ley sobre la memoria histórica, que no satisfa a nadie pero que por lo menos afirma un principio que en Italia estamos derribando: no se puede meter en el mismo nivel los antifascistas y los fascistas, los franquistas y los republicanos. Y la iglesia católica, obstinada parte en causa, responde beatificando sus víctimas de la guerra civil, y solo las suyas (y tampoco todas: no los curas asesinados por los franquistas, que también hubo).

Pero sigue la batalla legal: si tienen que encerrarse en un piso, por lo menos que sea como ellos dicen y donde vivían, y con una indemnización que considere no sólo las pérdidas económicas sino también el dolor.

El día después de la violencia del desalojo, ya estaba planeada una asamblea de los barrios en lucha de toda Barcelona. El sitio se llama Forat de la Vergonya, el "agujero de la vergüenza": un espacio en un barrio popular histórico que el ayuntamiento quería transformar en parking y que los vecinos, por una vez, consiguieron salvar para hacer un espacio público y abierto. Sentados en círculo, pasandose el microfono, chicos de colectivos "okupa" y ancianos de los barrios populares comparan experiencias, intentan cordinarse. En los edificios alrededor, pancartas en las ventanas proclaman, remoción urbana que se manifiesta bajo la forma de expulsión de habitantes históricos de barrios que se hicieron apetecibles, "barcelona posa't guapa". Para ponerse guapa, Barcelona echa a los barceloneses de la Mina, del Raval, de la Barceloneta, del Bon Pastor. Acordémonos, la próxima vez que paseemos por las Ramblas.

This work is in the public domain
Sindicato Sindicat