|
Notícies :: guerra |
Fatah al-Islam
|
|
per Il manifesto |
23 mai 2007
|
Extraido el periodico italiano Il Manifesto |
«Ma chi sono quelli di Fatah al-Islam?»
I palestinesi sono stati i primi a porsi allarmati la domanda sul gruppo salafita di origini incerte e finanziamenti misteriosi che ha goduto di gran libertà di movimento in Libano. Le strane ipotesi di Seymour Hersh
Michele Giorgio
Gerusalemme
«Noi siamo un movimento che ha nobili principi, il nostro unico obiettivo è quello di proteggere Gerusalemme, stiamo subendo un attacco ingiustificato», ripeteva ieri nervosamente Abu Salim Taha, portavoce di Fatah al Islam, in diretta telefonica con la tv araba al-Jazeera. Invece il mistero che avvolge questa organizzazione salafita, presunta palestinese, resta fitto e l'improvviso silenzio del suo leader, Shaker Abbasi (Abu Seif), proprio nel momento della resa dei conti con l'esercito libanese, alimenta i dubbi di chi aveva sentito puzza di bruciato quando lo scorso autunno decine, poi centinaia, di militanti di Fatah-Intifada (il gruppo del colonnello Abu Musa che nel 1983 tradì il presidente Yasser Arafat) si trasformarono in jihadisti e si asserragliarono nei campi di Naher al Bared e al Baddawi.
I primi a lanciare l'allarme furono proprio i palestinesi. «Chi sono questi di Fatah al-Islam? Nessuno li conosce. Hanno soldi, armi, cercano di fare proseliti. E sfidano le fazioni laiche palestinesi», ci disse qualche mese fa l'esponente palestinese Kassem Aina che con la sua associazione offre assistenza ai profughi di Sabra e Shatila e ha osservato con sgomento lo svilupparsi di forze islamiche all'interno dei campi per rifugiati. Lo scorso dicembre le fazioni politiche palestinesi, di ogni colore, formarono un comitato per affrontare la questione della presenza di Fatah al-Islam e del continuo arrivo di militanti anche da paesi come Yemen, Giordania e Arabia saudita. Molti furono sorpresi dalla libertà di movimento di cui avevano goduto alcuni militanti del nuovo gruppo, entrati in Libano senza incontrare alcuna difficoltà, superando posti di blocco e controlli. Il governo non vide, o non volle vedere, la situazione che si stava creando nel nord del Paese, preso come era dal confronto, anche violento, con le opposizioni guidate da Hezbollah.
Sarà un caso ma ancora una volta i campi profughi palestinesi vengono presi di mira. La pressione militare infatti cresce non soltanto a Naher al Bared ma anche intorno a quello di Ein al-Hilwe (Sidone), anch'esso circondato da ingenti forze dell'esercito libanese perché al suo interno sono attivi due gruppi considerato vicini al-Qaeda, Usbat al-Ansar e Jund al-Sham. D'altronde alcuni uomini politici libanesi dei partiti di destra da tempo chiedono da tempo azioni di forza contro i campi per «stanare i terroristi islamici» e questo accresce i sospetti sulla figura di Abbasi, che nella sua esistenza ha fatto di tutto e di più al servizio di chi probabilmente lo ha pagato meglio. Come abbia fatto Abbasi a costruirsi una immagine da leader è un mistero, visto che è stato sino a qualche mese fa un personaggio di secondo, anzi terzo piano, senza alcuna influenza. Di lui si sa che ad Amman è stato condannato a morte in contumacia nel 2002 con l'accusa di aver organizzato l'attentato (ideato da Abu Musab Zarqawi, ucciso dagli americani un anno fa in Iraq) contro il diplomatico americano Laurence Foley. Sostiene di essere stato incarcerato in Siria e di aver combattuto in Nicaragua, senza però specificare se per i sandinisti o per la contra al servizio degli Usa. Di certo a novembre Abbasi è arrivato al campo profughi di Naher al Bared, si è impadronito della sede di Fatah-Intifada e ha creato dal nulla Fatah al Islam.
I servizi di sicurezza libanesi lo scorso marzo gli hanno attribuito due attentati contro i minibus, saltati in aria a febbraio vicino Beirut, nei quali morirono tre persone. Ma è qui che cominciano ad essere forti i dubbi sulle reali intenzioni del «jihadista» Abbasi. Le confessioni dei sei arrestati, presunti membri del suo gruppo, suscitarono qualche dubbio perché risultarono identiche a ciò che il quotidiano Al-Mustaqbal, organo dell'omonimo partito guidato da Saad Hariri (il leader della maggioranza anti-siriana), aveva riferito il 30 novembre scorso, ovvero che i militanti di Fatah al Islam erano stati «inviati dal presidente siriano Bashar Assad per assassinare 36 figure pubbliche libanesi».
Un giornalista di fama internazionale, l'americano Seymour Hersh, noto per le sue strette relazioni con la Cia e i servizi segreti di vari paesi, invece sulle pagine del suo giornale, il Newyorker, raccontò di una «sterzata» avvenuta nella linea dell'Amministrazione Bush in Medio Oriente. Un cambiamento, a suo dire, volto a tenere sotto pressione, con ogni mezzo, l'Iran e i suoi alleati, incluso naturalmente il partito sciita Hezbollah. Secondo Hersh il governo filo-occidentale di Fuad Siniora avrebbe segretamente dato appoggio a varie formazioni estremiste sunnite con l'obiettivo di usarle contro Hezbollah. Fantapolitica? Forse, ma, come tutti sanno, sulla scena libanese l'inverosimile spesso è più vero della realtà. |
This work is in the public domain |
Re: Fatah al-Islam
|
per Mikel |
23 mai 2007
|
Ver tambien el interesante articulo aparecido en la Haine sobre la violencia en Irak.
http://www.lahaine.org/index.php?p=22648 |
Re: Fatah al-Islam
|
per No capicci |
23 mai 2007
|
Molt bé, però algú podria traduir de l'italià? és que no tothom és tan "internacional"... (sense acritud) |
Re: Fatah al-Islam
|
per xavier xavyelena ARROBA msn.com |
23 mai 2007
|
http://babelfish.altavista.com/ aqui tens un bon traductor de webs |