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Anàlisi :: globalització neoliberal : laboral
Contro l’Europa imperialista, per l’internazionalismo proletario!
08 mai 2005
Contro l’Europa imperialista, per l’internazionalismo proletario!
Contro l’Europa imperialista, per l’internazionalismo proletario!
(Contributo al dibattito sulla “Costituzione europea�)


Introduzione

Il 29 ottobre scorso, i rappresentanti degli Stati membri dell’Unione Europea (Ue) si sono riuniti a Roma per firmare il “Trattato che istituisce una Costituzione per l’Europa�. Quando ciascuno dei venticinque Stati firmatari avrà concluso le procedure di ratifica, si concretizzerà una nuova importante tappa di quel “processo d’integrazione europea� che sta già determinando la vita di tutti noi e che in futuro la determinerà ancor di più. La “Costituzione europea�, infatti, sancisce e sviluppa l’attribuzione di poteri alle istituzioni dell’Ue in gran parte delle materie che prima erano di esclusiva competenza degli Stati nazionali: «Quando la Costituzione attribuisce all'Unione una competenza esclusiva […] l'Unione è l'unica a poter legiferare e adottare atti giuridicamente obbligatori. Quando la Costituzione attribuisce all'Unione una competenza concorrente […] gli Stati membri esercitano la loro competenza nella misura in cui l'Unione non ha esercitato la propria o ha deciso di cessare di esercitarla» (art. I-11). Sarebbe tuttavia fuorviante pensare l’Unione come una sorta di nuovo Stato nazionale “allargato� in procinto di “sostituire� quelli attualmente esistenti: ci troviamo di fronte al progressivo emergere di una nuova forma di statualità qualitativamente diversa dalle precedenti.(1)
   
Il testo che segue rappresenta una rielaborazione degli appunti scaturiti da una serie di discussioni collettive incentrate sul tema della “Costituzione europea�, tale derivazione incide necessariamente sulla scelta dei contenuti, sulla struttura, sulla forma e sulla (scarsa) sistematicità dell’esposizione. Abbiamo, tuttavia, ritenuto più utile sforzarci di “socializzare� un dibattito collettivo, cercando di riprodurne in forma scritta i contenuti e la vitalità, piuttosto che rischiare di realizzare un documento (forse) più “sistematico� ma autoreferenziale. Non si tratta, pertanto, di un’analisi definitiva e compiuta, ma di una prima traccia suscettibile di modificazioni e correzioni, da inquadrare e sviluppare nell’ambito di un più ampio lavoro politico riguardante specificatamente l’Unione Europea. Un lavoro in progress, che abbiamo assunto come parte integrante della nostra attività di collettivo internazionalista, ma che miriamo a condividere fin da subito con tutte le compagne e i compagni che ne comprendono l’urgenza.
Siamo convinti, infatti, che la realtà stessa abbia ormai chiaramente indicato quanto sia necessario che i compagni e le compagne, pur continuando a svolgere la propria quotidiana attività in ambiti e luoghi diversi, si uniscano per affrontare quei terreni specifici dai quali dipende l’efficacia politica della pratica di tutti e che tuttavia non sono alla portata di nessuno (singolarmente preso). Il tema dell’“integrazione europea� fornisce un’illuminante esemplificazione di tale necessità, poiché, disegnando un nuovo e complesso scenario economico-politico, impone a tutti i compagni compiti pratici indifferibili, cui però è possibile adempiere efficacemente solo aprendo un percorso di lavoro che travalichi fin dall’inizio ogni localismo e particolarismo settario.
E’ proprio la consapevolezza, materialisticamente fondata, dello scarto realizzatosi tra il mutarsi delle condizioni (anche politiche) in cui si colloca oggettivamente la nostra attività, e la capacità di incidervi politicamente restando rinchiusi entro ristretti orizzonti più o meno localistici e svuotati, che oggi definisce concretamente il sussistere di livelli di coscienza adeguati alla realtà stessa; ed è il farsi carico in prima persona di un lavoro concreto volto a colmare questo scarto, che oggi distingue la politica comunista dalla politica dello struzzo (spesso intenzionale, in quanto foriera di piccole gratificazioni personali).
Si tratta, infatti, di un problema pratico, poiché non è risolvibile attraverso proclamazioni astratte o limitandosi a collocare idealmente e analiticamente la propria particolare attività in una più ampia dimensione internazionalista dalla quale si resta però separati e sconnessi, ma solo lavorando attivamente per sostanziare tale dimensione in forme politiche concrete e percorsi pratici effettivamente condivisi: un lavoro che non comporta affatto la necessità di abbandonare i diversi e particolari ambiti d’attività. Si tratta, in definitiva, di un problema risolvibile solo assumendo l’internazionalismo come concreto terreno di lavoro e di organizzazione (incominciando col mobilitare le energie e le capacità necessarie per realizzare questo passaggio dall’astratto al concreto).

Una corretta comprensione del significato politico della “Costituzione europea� è ottenibile solo analizzandone i contenuti alla luce della prassi effettivamente esercitata dall’Unione, abbiamo perciò provato a riassumerne le principali caratteristiche utilizzando anche altri recenti documenti prodotti dall’Unione nella sua quotidiana attività, ma basandoci sempre su quanto emerso nel corso di discussioni che hanno visto anche la partecipazione attiva di compagne/i appartenenti a diverse realtà.

Collettivo internazionalista di Napoli
Napoli, Laboratorio occupato Ska, febbraio 2005
e-mail: kollintern ARROBA insiberia.net




I. Caratteristiche del “testo costituzionale�


La “Costituzione europea� è razzista

Che la “Costituzione� abbia un contenuto inaccettabile è palese sin dal Preambolo, dai contenuti spiccatamente razzisti riproposti nella forma di una presunta specificità culturale “superiore� sviluppatasi sul continente europeo. Attraverso una fraseologia ampollosa, impregnata di “valori umanistici�, il Preambolo propone l’idea di un’“Europa� custode della «civiltà», poiché tali “valori� connoterebbero una specificità culturale “europea�, un suo patrimonio privato. «Consapevoli che l’Europa è un continente portatore di civiltà…» (evidentemente portatore verso tutti gli altri che sarebbero incivili): è con queste parole che si apre la “Costituzione�.
In realtà, a leggere il “testo costituzionale� che ispirerà qualsiasi atto legislativo e politico compiuto dall’Unione e dai suoi Stati membri, sembra di essere ritornati all’epoca del vecchio colonialismo, perché si è posti subito di fronte alla teorizzazione di un nuova “missione civilizzatrice�. Ciò è maggiormente avvalorato laddove si specifica che l’Unione «si prefigge di promuovere i suoi valori» (art. I-3), quelli appunto presenti “da sempre� in un presunto e in realtà inesistente «patrimonio culturale» “dell’Europa�. Il Preambolo violenta brutalmente millenni di storia pur di sostenere che “gli europei� sono “da sempre� buoni e democratici!
L’“unità europea� è quindi descritta non come il prodotto di un processo storico (tra l’altro anche molto recente), ma come un elemento astratto “da sempre� presente nella storia dei «popoli dell’Europa», un’entità sovrastorica che gli artefici dell’Unione sentono di essere chiamati dalla provvidenza ad incarnare!
E’ evidente che ci troviamo di fronte ad un processo di “invenzione della tradizione� del tutto simile a quello prodotto dal nazionalismo negli ultimi due secoli, un’operazione ideologica la cui infondatezza scientifica ed il cui carattere grottesco, non ne annullano la pericolosità politica.
Il tentativo è infatti estremamente chiaro e nient’affatto originale: si cerca di occultare il contenuto di classe della nuova statualità europea in formazione, per darne una visione interclassista e quindi pacificatrice, avviando un’operazione ideologica volta a far sì che il proletariato e i movimenti del continente si identifichino con l’imperialismo europeo, ne giustifichino le guerre di aggressione, si affratellino con chi li sfrutta e li reprime, in nome di un’inesistente e raccapricciante “comune civiltà�!
Si tratta di un’operazione che è necessario non sottovalutare. La recente esperienza del movimento contro l’aggressione all’Iraq, ci mostra, infatti, come contenuti grotteschi come quelli del Preambolo possano nondimeno attecchire e lavorare (sia pur sottilmente e subliminalmente) all’interno del movimento stesso, per sbandarlo, depotenziarlo, spaccarlo e in ultima istanza controllarlo attraverso vere e proprie campagne di guerra mediatica che propongono un abbraccio mortale infarcito di «civiltà» e “democrazia�… fino alla nausea.
Un’operazione che è quindi nostro compito denunciare e far saltare fin dall’inizio.


La “Costituzione europea� è guerrafondaia

Fin dal “Titolo I� della parte prima – «definizione e obiettivi dell’Unione» – il “testo costituzionale� fa esplicito riferimento alla politica estera, nei seguenti termini: «nelle relazioni con il resto del mondo l’Unione afferma e promuove i suoi valori e i interessi» (art. I-3, punto 4). Ecco dunque che dai presunti “valori fondanti� dell’Unione ne viene – manco a dirlo! – dedotta una missione nel mondo… e dalla “promozione� di inesistenti «valori» si passa repentinamente alla “promozione� dei molto più concreti «interessi». Per “valori� è quindi da intendersi valore o meglio ancora plusvalore… come sempre, del resto!
Per fugare ogni ingenuo dubbio su cosa debba invece intendersi per “affermare e promuovere� basta leggere l’articolo I-40 comma primo della stessa “Costituzione�: «La politica di sicurezza e di difesa comune costituisce parte integrante della politica estera e di sicurezza comune. Assicura che l'Unione disponga di una capacità operativa ricorrendo a mezzi civili e militari. L'Unione può avvalersi di tali mezzi in missioni al suo esterno». Lo stesso articolo, al punto tre, deducendone i risvolti concreti, s’incarica di chiarire le idee anche al lettore più mal’accorto: «Gli Stati membri s'impegnano a migliorare progressivamente le loro capacità militari. È istituita un'Agenzia europea per gli armamenti, la ricerca e le capacità militari, incaricata di individuare le esigenze operative, promuovere misure per rispondere a queste, contribuire a individuare e, se del caso, mettere in atto qualsiasi misura utile a rafforzare la base industriale e tecnologica del settore della difesa, partecipare alla definizione di una politica europea delle capacità e degli armamenti, e di assistere il Consiglio dei ministri nella valutazione del miglioramento delle capacità militari».
Si sancisce esplicitamente, facendola assurgere a principio “costituzionale�, la legittimità delle guerre di aggressione («al suo esterno») per imporre («afferma») nel mondo «gli interessi» della borghesia europea. Queste norme (da recepire sempre in “lettura combinata� con l’inquietante Preambolo), poiché impegnano gli Stati membri in quanto tali e non i loro governi pro tempore, dovrebbero finalmente accontentare coloro che – affetti da quella strana malattia nota come “cretinismo giuridico� – non comprendono il senso ed il valore da attribuirsi all’art. 11 della Costituzione italiana, neanche quando i carabinieri occupano e pattugliano il territorio di un altro paese, assassinando e torturando. Costoro hanno finalmente una norma di pari rango giuridico per “ricostruirne il significato� una volta per tutte!
Ma non è tutto, poiché la “Costituzione�, per non essere da meno al “fratello nemico� statunitense, si è occupata anche di fornire una base di legalità alla guerra preventiva, traslitterando nella sostanza quanto già esposto nella Strategia di Sicurezza Nazionale Usa, la cosiddetta “Dottrina Bush�. E’ questo il senso dell’art. I-42 (lettera a, primo trattino). Che non si tratti di una nostra interpretazione maliziosa è ben dimostrato da quanto l’Unione ha già acquisito come linee-guida della propria strategia politico-militare. Per fugare anche il più ostinato sospetto di una nostra tendenziosa interpretazione lasciamo dunque la parola all’Unione stessa: «In un'era di globalizzazione, le minacce lontane possono rappresentare una preoccupazione così come quelle che sono più a portata di mano. L'attività nucleare in Corea del Nord, i pericoli nucleari nell'Asia meridionale, e la proliferazione in Medio Oriente sono tutte preoccupazioni per l'Europa. […] Il concetto tradizionale di autodifesa – fino alla Guerra fredda compresa – si basava sulla minaccia di invasione, ma con le nuove minacce la prima linea di difesa si trova spesso all'estero. Le nuove minacce sono dinamiche e, se abbandonate, diventeranno sempre più pericolose. [...] Ciò comporta che dobbiamo essere pronti ad agire prima che si verifichi la crisi».(2)
La determinazione bellicista, con la quale l’Unione si sta dotando di una propria autonoma capacità militare, è inoltre ben dimostrata dalla creazione di forze speciali europee e dei dispositivi militari necessari affinché essa sia in grado «di lanciare un'operazione entro 5 giorni dall'approvazione del concetto di gestione della crisi da parte del Consiglio. Riguardo allo spiegamento delle forze, l'obiettivo è che le forze comincino ad eseguire la loro missione sul terreno al più tardi dieci giorni dopo la decisione dell'Ue di dare avvio all'operazione. Sarebbero comprese le pertinenti capacità aeree e navali. Andrebbe considerata la necessità di disporre di forze di riserva. E' possibile che questi pacchetti interforze ad alta prontezza (gruppi tattici) debbano essere adattati da parte del comandante dell'operazione alle esigenze di un'operazione specifica».(3)
E’ bene a questo punto precisare che non si tratta solo di documenti. Basta infatti spendere un po’ del proprio tempo nel districarsi tra le infinite pagine del sito internet del Consiglio Europeo, per scoprire che l’Unione è già impegnata militarmente – con un esercito posto sotto il suo comando – in diverse zone del mondo. Certo, non si tratta ancora degli impavidi «pacchetti interforze ad alta prontezza», ma militari che indossano tutti il medesimo copricapo blu con le dodici stellette dell’Unione sono già dispiegati: nell’ex Repubblica jugoslava di Macedonia con l’operazione “Concordia�; nella Repubblica Democratica del Congo con l’operazione “Artemis�; in Bosnia-Erzegovina con la “missione di polizia� denominata “Eupm�; mentre è imminente l’avvio di un’altra “missione di polizia� sempre nell’ex Repubblica jugoslava di Macedonia denominata “Eupol - Proxima�. A questo elenco, di per sé non esaustivo, andrebbero inoltre aggiunte le “missioni� che l’Unione realizza indirettamente, attraverso l’azione coordinata degli Stati membri che la compongono.
Infine, ad ulteriore testimonianza di quanto essa in questo campo si stia muovendo con determinazione, l’Unione ha già avviato la definizione di una strategia industriale che le consenta di realizzare un’efficiente politica comunitaria in materia di produzione di attrezzature militari e armamenti, e quindi recuperare il divario che in questo settore la separa dal rivale statunitense. E’ infatti chiaro che “affermare e promuovere nel mondo i propri valori e interessi� in una condizione di schiacciante inferiorità militare, nella migliore delle ipotesi vuol dire “pagar dazio� al rivale più potente. Lo “sviluppo ineguale� delle capacità militari incide sulle relazioni interimperialistiche e ne spiega in parte la complessità di lettura. Ascoltiamo la Commissione: «Nell’insieme, gli Stati membri dell’Unione Europea spendono per la difesa meno della metà degli Stati Uniti. Il bilancio americano è pari complessivamente a 390 miliardi di dollari l’anno, rispetto ai 160 miliardi di euro di tutti gli Stati membri dell’Unione. Da diversi anni, gli investimenti europei nel settore della difesa sono nettamente inferiori a quelli effettuati negli Stati Uniti in termini di acquisti (40 miliardi di euro l’anno in Europa rispetto ai 100 miliardi di dollari negli Stati Uniti) e di ricerca (10 miliardi di euro in Europa rispetto ai 50 miliardi di dollari degli Stati Uniti). […] La capacità militare effettiva degli Stati membri dell’Unione Europea è stimata al 10% circa di quella degli Stati Uniti. Tale questione incide sulle relazioni transatlantiche. […] Tanto per il settore civile quanto per quello della difesa è fondamentale, a livello economico, creare un contesto nel quale le società europee possano spendere vantaggiosamente il loro denaro».(4)
In un contesto che, in seguito alla maturazione delle ormai classiche contrapposizioni in materia di commercio, industria, materie prime, brevetti, biotecnologie, sistema monetario internazionale, ecc., vede la competizione interimperialistica tra “fratelli nemici� investire sempre più la politica estera, non c’è da stupirsi se il polo imperialista europeo prosegua con determinazione la propria strutturazione autonoma anche in campo militare.
Questa consapevolezza dovrebbe contribuire a chiarire il significato reale di quelle posizioni politiche che, pur criticandola, guardano alla costruzione dell’Unione Europea con sguardo benevolo e comprensivo, senza stancarsi di sottolineare come “l’Europa�, contrastando l’unilateralismo Usa, potrebbe svolgere una “funzione democratica e progressiva� nel contesto delle relazioni internazionali, e suffragando inoltre la stravagante idea dell’esistenza di un “modello sociale europeo� (frutto evidentemente di quella peculiare «civiltà» di cui parla il Preambolo!). Si tratta di considerazioni spesso giustificate scomodando – davvero a sproposito! – i sempre martoriati concetti di “tattica� e di “progresso�, considerazioni che purtroppo è facile veder attecchire anche in certi “luoghi� del movimento. Per quanto abbiamo detto, non è difficile comprendere che chi sostiene posizioni del genere – spesso occultate dietro argomentazioni apparentemente sofisticate ed una fraseologia di “sinistra� – si schiera oggettivamente a sostegno della “competitività� del “proprio� imperialismo. Un imperialismo che già è armato e che già opprime, un imperialismo che nel quadro dell’Unione si sta armando ulteriormente per opprimere di più e “meglio� (è forse questo il “progresso�?). Dovrebbe essere alla portata di tutti comprendere che in un contesto di competizione interimperialistica, schierarsi per l’indebolimento dell’imperialismo “altrui� senza denunciare e contrastare il rafforzamento del “proprio� significa inevitabilmente accodarsi a quest’ultimo.
Ma la “tattica� non c’entra nulla: in realtà i sostenitori di tali posizioni “europeiste� condividono il senso profondo del Preambolo “costituzionale�, in fondo essi mostrano di ritenere che lo sfruttamento e l’oppressione imposti dall’imperialismo europeo siano comunque “più civili�, dalle loro critiche traspare l’ambigua indulgenza di chi ritiene – “dopo tutto� e “in fin dei conti� – di appartenere ad una comune «civiltà»! Sono del resto le stesse istituzioni dell’Unione che cercano con ogni mezzo di stravolgere finanche la storia recente pur di forgiare la falsa immagine di una politica estera europea più “corretta�, più “diplomatica�, più “civile�, più “umanitaria�… e via farneticando.
Di tali posizioni, nei fatti conniventi con l’imperialismo europeo, ne esistono persino versioni ingegnosamente costruite con una fraseologia apparentemente “internazionalista�. Parliamo di tutti coloro che vaneggiano di “utilizzare le contraddizioni interimperialistiche� “tifando� per l’indebolimento dell’imperialismo più potente (gli Usa) e schierandosi (“tatticamente�, s’intende!) con quello più “debole� (l’Ue). In questo come negli altri casi, si occulta sfacciatamente che per lottare contro l’imperialismo in quanto tale e per “utilizzare le contraddizioni interimperialistiche� in una prospettiva internazionalista, è indispensabile non “dimenticare� di lottare contro il “proprio� imperialismo, è indispensabile non “dimenticare� di contrastarne e denunciarne sistematicamente il rafforzamento e gli interessi. Altrimenti non esiste possibilità di “utilizzare� alcunché, ma solo la certezza di essere “utilizzati�, altrimenti non esiste autonomia né del movimento né del proletariato e non esiste quindi neanche la lotta: si diventa un giocattolo nelle mani del “proprio� imperialismo, servendo nei fatti il suo interesse a dipingersi come “più buono�, ci si trasforma oggettivamente in uno dei tanti strumenti da esso utilizzati per indebolire l’imperialismo concorrente, che nei fatti si contribuisce a dipingere come “più cattivo� perché più potente.


La “Costituzione europea� canonizza…
gli attacchi alle condizioni di vita e di lavoro del proletariato

Altro aspetto estremamente importante della “Costituzione�, è che in essa vengono “costituzionalizzate� le politiche con le quali il capitale (e non solo quello europeo) cerca da anni di superare la crisi economica apertasi all’inizio degli anni settanta e tutt’ora irrisolta, crisi che segna fortemente anche il contesto in cui si gioca la competizione interimperialistica.
Si tratta di linee d’intervento finalizzate al rilancio dell’accumulazione attraverso la progressiva imposizione al proletariato di condizioni (giuridiche, sociali e politiche) che consentano al capitale di incrementarne/intensificarne lo sfruttamento, giacché, in ultima istanza, si tratta sempre di estrarre più plusvalore (è questo incremento il contenuto ultimo delle cosiddette “politiche neoliberiste�).
Il principio della «economia di mercato aperta e in libera concorrenza» plasma tutta la parte terza della “Costituzione�, parte che è dedicata alle politiche dell’Unione, cioè alle sue azioni concrete. Ciò vuol dire che le scelte di fondo in materia economica, sociale, politica monetaria, politica industriale, immigrazione, ecc., sulle quali si sono basate le ben note “riforme� del mercato del lavoro, del sistema pensionistico, della sanità, nonché le ristrutturazioni, le privatizzazioni, le leggi repressive, i provvedimenti contro i migranti, ecc. (che il proletariato subisce già da diversi anni), vengono sistematicamente fatte assurgere al rango di principi “costituzionali�, sancendone l’immodificabilità anche sul piano giuridico-formale.
Per essere più espliciti, le scelte politiche di fondo riguardanti il vastissimo panorama di materie in cui l’Unione Europea possiede una qualche competenza (esclusiva o concorrente) sono già fissate nel testo stesso e ispirate ovviamente dal principio supremo del “libero mercato� e della “competitività�. Le “politiche neoliberiste� sono perciò consacrate come fossero parte della stessa struttura giuridica dell’Unione, incastonate e cementate fin dentro la sua architettura istituzionale!
Del resto, l’Unione si impegna a «promuovere un ambiente favorevole all’iniziativa e allo sviluppo delle imprese di tutta l’Unione» (art. III-180), dove per «ambiente favorevole» è da intendersi proprio quell’insieme di condizioni giuridiche, sociali e politiche che consentano di sfruttare di più e meglio il proletariato tutto (ecco in quale altro senso è forse possibile applicare la categoria di “progresso� alla “Costituzione europea�!).
Ma non c’è da stupirsene: il rilancio dell’accumulazione capitalistica e perciò l’attacco alle condizioni di vita e di lavoro del proletariato, è da sempre il fine supremo dell’Unione, la ragione della sua stessa esistenza, poiché essa nasce e si afferma non in quanto semplice e “neutro� riadeguamento della sovrastruttura politica alla internazionalizzazione dell’“economia� (meccanicismo economicistico), ma in quanto forma politica concreta attraverso cui soddisfare le attuali esigenze di valorizzazione del capitale, nel quadro di una internazionalizzazione dell’“economia� fortemente segnata dalla competizione interimperialistica (determinazione dei rapporti sociali di produzione, catena imperialista). Si tratta, evidentemente, di “esigenze� che permarrebbero anche qualora l’Unione smettesse improvvisamente di esistere, esprimendosi semplicemente in forme politiche diverse e altrettanto “neoliberiste�.(5) La “Costituzione� si limita a rispecchiare/codificare tali “esigenze� (fatto che certamente non è di poco conto), riscrivendo in “giuridichese� quanto è leggibile anche in altri documenti. L’ossessione per la “competitività� ed il “mercato libero ed autoregolato� pervade, infatti, tutti i documenti economici provenienti dalle istituzioni dell’Unione ed è stata perciò già tradotta in indirizzi politici in vario modo applicati dai diversi Stati membri. Ecco alcuni esempi: «malgrado le azioni intraprese, l’Ue non è riuscita fino ad oggi a ridurre la differenza del Pil per abitante che la separa dagli Stati Uniti; infatti la differenza di produttività sta aumentando. Gli studi di proiezione indicano che se l’Europa non riesce ad invertire la tendenza economica attuale, la percentuale europea nella produzione mondiale diminuirà […]. Per rafforzare la sua posizione economica l’Europa deve aumentare il suo spirito imprenditoriale. […] Per sviluppare il suo potenziale imprenditoriale in modo completo, l’Ue dovrà prendere misure energiche che rendano l’Europa più attraente per quanto riguarda le attività imprenditoriali».(6)
Non c’è bisogno di molta fantasia per intuire quali siano le auspicate «misure energiche» (citiamo sempre da documenti ufficiali dell’Unione): «1) accrescere la flessibilità dei mercati del lavoro [cioè: accrescere la precarietà, quindi la ricattabilità e lo sfruttamento dei lavoratori]; 2) riequilibrare il concetto della garanzia del posto di lavoro per incentrarsi sul miglioramento dell'occupabilità [cioè: rendere i licenziamenti più facili]; 3) agire sulla riforma del regime fiscale e delle prestazioni sociali per migliorare gli incentivi e far sì che lavorare convenga [cioè: ad un pizzico di incentivi fiscali deve unirsi un ridimensionamento delle prestazioni sociali, perché altrimenti quelle “canaglie� di lavoratori, che trovano ogni pretesto per non sgobbare, non sono sufficientemente “incentivati� a lavorare di più e più intensamente; bisogna quindi agire anche dal lato delle prestazioni sociali, riducendole, di modo che il peggioramento della loro condizione economica li “incentivi� ulteriormente]».(7) S’invocano pertanto «la riforma delle pensioni e dell'assistenza sanitaria e l'aumento del tasso di occupazione dei lavoratori anziani»,(8) anche in questo caso quegli “scanzafatiche� dei lavoratori anziani sono chiamati a restare al lavoro non per “risparmiare� sui “costi� della previdenza, ma per rendere il mercato del lavoro più fluido e competitivo, eliminando o comprimendo quei “diritti sociali� che ostacolano una più intensa sfruttabilità di tutti i lavoratori, siano essi giovani o anziani.
Altrove ci si propone di «promuovere l’invecchiamento attivo incoraggiando i lavoratori anziani a rimanere nel mercato del lavoro»,(9) e al contempo ci si compiace del fatto che diversi Stati membri, seguendo le indicazioni della Commissione, «hanno intrapreso la riforma dei loro sistemi pensionistici e sanitari»,(10) senza mancare naturalmente di aggiungere che «occorre intensificare questi sforzi che vanno nella direzione giusta».(11) Si protesta infatti vivamente contro «il persistere di ostacoli strutturali nel mercato del lavoro e alla scarsa partecipazione all'occupazione dei lavoratori più anziani»(12) e si raccomanda ulteriormente di «modernizzare i sistemi sanitari».(13) E’ interessante anche rilevare come la Commissione Europea, allora presieduta da Romano Prodi, nel valutare il grado di applicazione in Italia delle “riforme� strutturali proposte dall’Unione, abbia enumerato con entusiasmo i seguenti «progressi» realizzati dal governo Berlusconi: «a) introdotte misure per aumentare la flessibilità del mercato del lavoro [Legge 30]; b) attuata la riforma del sistema educativo primario e secondario; c) un piano di riforma pensionistica di medio termine annunciato nell’autunno 2003».(14)
Se, quindi, la “competitività� che la borghesia europea intende ossessivamente perseguire da un lato si traduce necessariamente nella politica estera guerrafondaia di cui abbiamo detto sopra, dall’altro – sul versante “interno� – essa si traduce in «misure energiche» volte ad incrementare l’estrazione di plusvalore e quindi lo sfruttamento del proletariato. I due aspetti sono inseparabili.
Le forze politiche e sindacali che lavorano affinché i lavoratori si schierino con “l’Europa� per “contrastare l’unilateralismo Usa�, spingono quindi il proletariato a schierarsi contro i propri interessi di classe, cercano di consegnarlo – mani e piedi legati – a chi lo sfrutta tutti i giorni e già programma di sfruttarlo maggiormente (sperando magari di ottenere qualche ricompensa attraverso una caricaturale ed inquietante “Europa sociale� da costruire assieme ai padroni).


Una barzelletta che non fa ridere: la “Carta dei diritti�

L’inserimento della “Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione� (già approvata nel dicembre 2000 dal Consiglio Europeo di Nizza) all’interno del “testo costituzionale� (seconda parte) è stato accompagnato da veri e propri cori di giubilo democratico. Poiché si tratta di un’esultanza che alla luce dei contenuti della “Carta� resta inspiegabile, non possiamo intenderla che come l’espressione di una grande operazione di propaganda. Un’operazione volta ad addolcire l’amarissima pillola della “Costituzione� con la proclamazione astratta di “diritti� privi di effettiva portata giuridica.
Non si tratta solo di rilevare che tutte le costituzioni strappate o promulgate dalla borghesia, nonostante fossero infarcite di “diritti universali� non hanno mai disposto che il proletariato ne usufruisse effettivamente, o di ricordare che all’occorrenza, dinanzi ai proletari in lotta, “Libertà, Uguaglianza e Fraternità� si sono il più delle volte trasformate in “Cavalleria, Fanteria e Artiglieria�. Non si tratta solo di questo. Se ci limitassimo a tali considerazioni, non apprezzeremmo a sufficienza l’“originalità� della “Costituzione europea�, né il valore dei suoi redattori, né, soprattutto, capiremmo l’operazione politica che si sta compiendo attraverso essa. Nel Preambolo della “Carta�, infatti, ci si premura di avvertire che gli articoli vanno interpretati non secondo quanto è logicamente rinvenibile nel testo, ma «alla luce» di successive e non meglio precisate «spiegazioni» vincolanti, spiegazioni che proverranno da un organo (il Presidium della Convenzione) promanazione degli esecutivi degli Stati membri e della Commissione: «la Carta sarà interpretata dai giudici dell'Unione e degli Stati membri alla luce delle spiegazioni elaborate sotto l'autorità del Presidium della Convenzione che ha redatto la Carta». I redattori della “Carta� hanno evidentemente voluto predisporre un meccanismo che li tutelasse dall’eventualità che attraverso un’interpretazione estensiva dei “diritti�, scaturisse una qualche già improbabile eccezione alla regola della loro generale ineffettività.
Ma non è certo questa l’unica “originalità�. La “Carta�, mostrando una involontaria quanto penosa comicità, immediatamente dopo aver elencato i “diritti� con tono altisonante, si preoccupa di farci sapere che la «Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione»: «non estende l'ambito di applicazione del diritto dell'Unione al di là delle competenze dell'Unione, né introduce competenze nuove o compiti nuovi per l'Unione, né modifica le competenze e i compiti definiti nelle altre parti della Costituzione» (art. II-51, secondo comma). Verrebbe da dire: ma se questa «Carta dell’Unione» non estende… non modifica… non introduce… competenze per l’Unione… davvero non sappiamo più di che genere di carta si tratti…!
Se non fossimo abituati a prendere sul serio quanto attiene alla politica, rideremmo di fronte a questa barzelletta che i nostri “costituenti� – nonostante fossero privi di qualsiasi delega – hanno voluto regalare ai cittadini europei. Ma purtroppo non c’è niente da ridere. Infatti, poiché la “Carta� è parte integrante della “Costituzione�, è impossibile non rilevare che a tutti quei “diritti� che attengono alla sfera sociale e del lavoro (molti dei quali sono tra l’altro degradati al rango di “principi�) è stato nei fatti riservato un ulteriore e specifico “trattamento�.
Il primo comma dello stesso articolo II-51, dopo averci informato che in realtà «le disposizioni della presente Carta si applicano alle istituzioni, agli organi e alle agenzie dell'Unione nel rispetto del principio di sussidiarietà come pure agli Stati membri esclusivamente nell'attuazione del diritto dell'Unione» specifica che «i suddetti soggetti rispettano i diritti, osservano i principi e ne promuovono l'applicazione secondo le rispettive competenze e nel rispetto dei limiti delle competenze conferite all'Unione in altre parti della Costituzione».
L’effettiva applicazione dei “diritti� è quindi subordinata a quanto disposto in altre parti della “Costituzione�. Poiché già sappiamo che “la concorrenza libera e non distorta� (art. 3-I, comma 2) è il supremo obiettivo economico dell’Unione e che la terza parte della “Costituzione� prescrivendo azioni concrete agli Stati membri non è che una “costituzionalizzazione� delle “politiche neoliberiste�, ne deriva che l’applicabilità sostanziale di tutti quei “diritti� che attengono alla sfera sociale e del lavoro è fin dall’inizio gerarchicamente subordinata alla loro puntuale rimozione. Ciò è tanto più vero, in quanto tali “diritti�, per assumere portata effettiva, non necessitano di un mero riconoscimento formale ma di interventi legislativi o economici da parte dello Stato, interventi che la stessa “Costituzione� ha la premura di interdire non solo all’Unione, ma anche agli Stati membri.
Si incomincia così ad intravedere il senso politico che la “Carta� cela dietro una coltre di stucchevoli e tragicomiche contorsioni: proprio attraverso la “Carta� si mira ad ottenere… carta bianca per quanto attiene la rimozione e lo smantellamento di ogni intervento pubblico teso a sostanziare i famosi “diritti�, poiché anche gli attuali Stati membri sono proprio dalla “Carta� chiamati a subordinare il loro intervento alle “politiche neoliberiste� definite nella prima e nella terza parte della “Costituzione�.
Se, quindi – al di là delle operazioni propagandistiche – una qualche innovazione è stata compiuta in tema di “diritti� da questa “Costituzione europea�, essa è proprio una nuova e più profonda subordinazione dei diritti dei lavoratori agli interessi immediati del capitale. Non ci si accusi quindi di essere “prevenuti� se facciamo nostro quanto Marx ebbe a dire a proposito dei “diritti� previsti dalla Costituzione francese del 1848, rilevando una caratteristica di tutte le costituzioni borghesi (inclusa quella italiana tutt’ora in vigore): «Ciascun articolo contiene la propria antitesi, si annulla completamente». C’è solo da aggiungere che l’attenzione premurosa che l’Unione riserva ai “diritti� è in generale ben esemplificata sia dal regime di apartheid praticato nei confronti dei migrati del Sud, sia dalla condizione di “semicittadini� riservata ai lavoratori dei paesi dell’Est che hanno di recente aderito all’Unione (ai quali è interdetto il diritto alla “libera circolazione�): in entrambi i casi con lo scopo, immanente al moderno capitalismo, di ottenere fasce di supersfruttati con diritti inesistenti o limitati.


La “Costituzione europea� è reazionaria

Abbiamo finora cercato di mostrare come la “Costituzione europea�, definendo i principi, gli obiettivi e le azioni dell’Unione, in realtà codifichi gli interessi di classe della borghesia europea nella forma concreta ch’essi assumono alla luce dell’attuale contesto economico (crisi di valorizzazione del capitale, competizione interimperialistica).
Ora è importante porre la necessaria attenzione al fatto che tale rispecchiamento non è limitato ai soli aspetti economici: la “Costituzione� sancisce e sviluppa un’altrettanto significativa ristrutturazione della sovrastruttura statuale. Infatti, attraverso quella che può apparire come una semplice redistribuzione di poteri si realizza qualcosa di ben più sostanzioso.
Basta fare una breve carrellata degli organi decisionali dell’Unione, così come vengono descritti dalla “Costituzione�, per comprendere che il trasferimento di poteri è inseparabile da un drastico restringimento degli “spazi di controllo democratico�: la Commissione è un esecutivo sovranazionale nominato dagli esecutivi nazionali che continua a detenere il monopolio dell’iniziativa legislativa; il Consiglio dei ministri riunisce i ministri dei vari esecutivi nazionali o i loro rappresentanti; il Consiglio Europeo è composto di nuovo dai Presidenti degli stessi esecutivi nazionali o dai Capi di Stato. La “Costituzione�, inoltre, concede nuovi e ulteriori poteri alla Presidenza di ciascun organo. Ogn’una di queste istanze delega parte della propria attività a “microrganismi� solo apparentemente “tecnici� e totalmente privi d’ogni ipotetico “controllo democratico�. Il Ministro degli Affari Esteri (nuova figura istituzionale prevista dalla “Costituzione�) nei fatti deve dar conto solo agli organi composti da rappresentanti degli esecutivi nazionali e alla Commissione, il Parlamento può essere solo informato. La posizione sostanzialmente subordinata del Parlamento Europeo viene definitivamente “costituzionalizzata�, i suoi poteri vengono estesi quel tanto che basta a garantire una parvenza di legittimazione allo strapotere consegnato ai vari esecutivi e l’ulteriore accentramento in seno alle loro presidenze. Non bisogna infine dimenticare che gli stessi redattori della “Costituzione� sono stati nominati dagli esecutivi nazionali e dalla Commissione.
Il lungo processo di restringimento degli “spazi di democrazia� e di rafforzamento in senso autocratico degli esecutivi – già ampiamente sperimentato sul piano “statuale nazionale� – si realizza in tal modo definitivamente (e si conclude) esprimendosi in una particolare forma politica dalle caratteristiche continentali: plasmando, cioè, fin dall’inizio, la nuova statualità europea cui gli stessi Stati membri attribuiscono poteri sempre più rilevanti. La “Costituzione europea�, infatti, sancendo una sostanziale e assoluta supremazia del “diritto europeo� in molte ed importantissime materie, da un lato realizza una ricollocazione del potere effettivo a livello continentale, dall’altro si configura come lo strumento attraverso il quale gli esecutivi e gli apparati amministrativi degli Stati membri si attribuiscono nuovi poteri, svincolandosi strutturalmente e definitivamente da ogni controllo e parvenza di “democrazia�.
Tale processo di involuzione autocratica è una caratteristica della metropoli imperialista che (come già rilevato a proposito del “neoliberismo�) muove dalle attuali esigenze di valorizzazione del capitale e non rappresenta, dunque, un prodotto della “Costituzione europea� (che ne opera una codificazione in una particolare forma giuridica). La nuova statualità europea in formazione non fa che rispecchiare un processo che già da molti anni investe gli Stati nazionali, esprimendolo, riproducendolo e concludendolo in una forma politica particolare.(15)
Se, dunque, l’impossibilità di utilizzare gli “spazi di democrazia� offerti dalle costituzioni borghesi è ormai provata da più di due secoli di esperienza proletaria, se è vero che la borghesia detiene saldamente nelle proprie mani il potere politico sempre e in ogni caso, se quindi non c’è dubbio che la borghesia è sempre in grado di svuotare tali “spazi di democrazia� non appena attraverso essi si cerchi di ledere anche minimamente i suoi interessi… se tutto questo è innegabile, è pur vero che la “Costituzione europea� rappresenta un notevole “progresso�: tale svuotamento è stato realizzato preventivamente!
C’è, tuttavia, il rischio che le illusioni “democratiche� stroncate “dall’alto� così esplicitamente dalla stessa “Costituzione�, risorgano “dal basso� in forma apparentemente meno illusoria e perciò più pericolosa. Poiché, infatti, il “processo di integrazione europea�, contemporaneamente all’accentramento di poteri nelle istituzioni dell’Unione, sta oggettivamente realizzando anche il decentramento territoriale della loro articolazione, può sorgere la pericolosa illusione di considerare i sempre più numerosi enti e organismi istituzionali “sub-nazionali� dello Stato (regioni, comuni, municipalità, enti, ecc.), come altrettanti novelli “spazi di democrazia�, “finestre� attraverso le quali “contaminare� la nuova statualità europea inserendovi contenuti politici e sociali… opportunità che la magnanima borghesia europea offrirebbe in dono al movimento. Chi sostiene posizioni del genere finge di non comprendere che la dialettica accentramento/decentramento propostaci dall’Unione, lungi dal costituire una opportunità di “contaminazione�, si configura piuttosto come uno strumento per spezzettare il proletariato, legarlo al “territorio�, confinarlo/sprofondarlo in un localismo per definizione privo d’ogni possibilità di incidere: uno strumento labirintico volto ad impedire ch’esso si ricomponga politicamente ad un livello corrispondente al potere effettivo, cioè sul piano continentale.
Gli “architetti� dell’Unione Europea hanno compreso la lezione proveniente dall’esperienza che la loro classe sociale ha accumulato in secoli di gestione/organizzazione dello Stato, ed ora mirano a realizzare una statualità europea per sua conformazione sostanzialmente inaccessibile alle istanze provenienti dal proletariato. Il sogno della borghesia europea è fare in modo che i “fastidi� prodotti dalle lotte proletarie e lungamente sperimentati in ambito “statuale-nazionale�, non rinascano su scala allargata in ambito continentale, quindi: potere (e vincoli di bilancio) trasferito “in alto�, lotte proletarie possibilmente relegate “in basso�, imprigionate nel particolarismo nazionale o imbrigliate nella fitta rete del decentramento concorrenziale, in ogni caso condannate a deperire in un isolamento inefficace che impedisce lo sviluppo di un qualsiasi effettivo potenziale politico. Quella che i politologi borghesi dell’Unione definiscono come multi-level governance (e che qualche intellettuale da strapazzo vorrebbe rivendere al movimento come la brillante scoperta di un’opportunità di “contaminazione�), si compone di tanti anelli microcorporativi, territoriali ma anche funzionali, attraverso i quali si mira a schiacciare nello Stato e sconfiggere sul nascere ogni istanza politica proveniente dal proletariato. La borghesia europea tenta di far sì che a fronte dell’unificazione politica del continente, il proletariato permanga diviso e si sviluppi ulteriormente la concorrenza “territoriale� tra lavoratori: solo il capitale è in grado di ricomporre “dall’alto� la filiera istituzionale, donando effettivo funzionamento ed energia ad ogni singolo anello di cui si compone (e gli anelli, in un’epoca di “esternalizzazioni�, possono essere anche piccoli come una Ong!).

E’ importante, infine, prevenire un possibile equivoco: non riteniamo che gli Stati nazionali siano destinati a “scomparire�. Essi stessi vengono piuttosto sempre più riqualificati come articolazioni autonome dall’intero processo di formazione della nuova statualità europea. Si realizza in tal modo un processo circolare: gli Stati nazionali conferiscono sovranità ad un ambito continentale incidendovi proporzionalmente alla loro forza economica e politica, tale ambito continentale sintetizza gli interessi generali della borghesia europea nelle loro relazioni mondiali, rideterminando a sua volta gli Stati nazionali secondo una collocazione “europea� (attuale o programmata) nella divisione internazionale (imperialista) del lavoro. Una collocazione “sintetizzata� a livello continentale che non necessariamente corrisponde a quella già assunta dal singolo Stato membro nelle sue relazioni mondiali (sia con capitali provenienti da diverse “basi nazionali�, sia con le formazioni sociali dominate dall’imperialismo), aprendo in tal modo un contraddittorio processo di ridefinizione (particolarmente evidente per quanto riguarda le relazioni tra gli Usa e alcuni Stati membri) e segnando l’emergere di diverse prospettive politiche riguardanti: da un lato, la collocazione/ricollocazione (che resta competitiva) del capitale monopolistico-finanziario nella divisione internazionale (imperialista) del lavoro e quindi le sue relazioni mondiali (anche con il capitale a base Usa, per esempio), e dall’altro – contemporaneamente e necessariamente – la composizione e il “funzionamento� del “blocco al potere� da esso realizzato all’interno di ciascuno Stato.
Pur nell’“integrazione� si produce in tal modo una gerarchia tra gli stessi Stati membri. Gli Stati nazionali, quindi, non sono destinati a “scomparire�, sia perché costituiscono uno strumento, per il momento insostituibile, di controllo ideologico e sociale nelle mani della borghesia, sia perché essi stessi sono già imperialisti, ricoprono già un ruolo (gerarchicamente differenziato) nei confronti del capitale internazionalizzato (e non solo di quello “europeo�), ruolo che l’Unione non si propone semplicemente di assorbire, ma di dirigere attraverso un processo contraddittorio di “armonizzazione� funzionale alla competizione interimperialistica su scala mondiale (ma le contraddizioni vengono nel frattempo “sfruttate� politicamente dagli altri poli imperialisti). Anche lo sviluppo ineguale all’interno degli stessi confini dell’Unione non è annullabile, né del resto qualcuno coltiva il desiderio di annullarlo, ma al contrario di sfruttarlo proprio attraverso la cosiddetta multi-level governance (sfruttando ad esempio i differenziali nei costi di riproduzione della forza-lavoro).
Ciò vuol dire che anche la “sintesi� realizzata in ambito continentale, non si produce meccanicamente “dall’interno all’esterno�, poiché essa esiste solo nelle sue interrelazioni mondiali (il capitale è già imperialista, è già interrelato in una dimensione mondiale, possiede già un ruolo nelle formazioni sociali dominate dall’imperialismo), ed è quindi realizzabile solo tenendo conto delle relazioni esistenti anche con capitali non “a base europea�, per strutturarli sotto la direzione gerarchica della borghesia imperialista europea (una “direzione� che si stabilizza e definisce proprio con l’avanzare di questo processo e nonostante il suo andamento contraddittorio). La “sintesi europea� si attua, quindi, ricompattando interessi e frazioni di classe che – direttamente o indirettamente – hanno già travalicato la dimensione “interna� e sono già contraddittoriamente dislocati su scala mondiale, che sono già in relazione (pure “dall’interno�) con capitali aventi base anche in altri poli imperialisti, che svolgono già un ruolo (di oppressione) nelle formazioni sociali dominate dall’imperialismo.
E’ sulla capacità di operare una tale “sintesi� che, in ultima istanza, si gioca la competizione interimperialistica con gli Usa e gli altri poli imperialisti, nel quadro della internazionalizzazione del capitale e della crisi (è chiaro che ciò, di per sé, implica anche il progressivo affermarsi di violente contraddizioni interimperialistiche e di un nuovo, autonomo, ruolo politico-militare dell’Unione).

La situazione che abbiamo appena descritto possiede delle importanti ricadute anche sul piano ideologico, poiché ne consegue che la borghesia sviluppi e diffonda un nuovo “nazionalismo europeo� rinvigorendo, al contempo, il nazionalismo tradizionale. Quest’ultimo, infatti, da un lato resterà uno strumento essenziale nelle mani dei tutta la borghesia europea per conservare/riprodurre il controllo, il soggiogamento e lo sfruttamento del proletariato, e – dall’altro – sarà utilizzato da particolari frazioni e/o settori della borghesia anche per sostenere i propri particolari interessi in competizione con altre frazioni e/o settori della stessa classe dominante. Inoltre, proprio sulla base del fatto che l’internazionalizzazione del capitale è necessariamente competitiva, concorrenziale e ricca di contraddizioni interimperialistiche, è possibile che vengano sviluppate anche forme di “nazionalismo regionale� o “microterritoriale�, espressione di segmenti di borghesia che puntano a far valere i propri particolari interessi (in competizione con altri segmenti della stessa borghesia e contro il proletariato) cercando una nuova collocazione nella catena imperialista, fatto che di per sé presuppone la ridefinizione e l’imposizione di nuove forme “locali� di controllo sulle condizioni di sfruttamento e riproduzione della forza-lavoro.
Quindi, il nazionalismo – ideologia prodotta e alimentata dalla borghesia in quanto funzionale ad imporre i suoi interessi di classe – pur inventando sempre una qualche forma di “comunità� interclassista (un “interesse comune�) inesistente, può articolarsi (anche contemporaneamente) in una vasta varietà di forme e livelli (nazionali, continentali, regionali, microterritoriali, ecc.) a seconda delle diverse fasi storiche, delle diverse frazioni e/o settori della classe dominante che se ne fanno portatori, delle diverse congiunture politiche ed economiche, ecc., rappresentando, in ogni caso, uno strumento utilizzato dalla classe dominante per conservare e riprodurre lo sfruttamento e il soggiogamento (economico, sociale, ideologico, politico) del proletariato.

Per il movimento e per tutti i proletari che vivono in Europa, da tutto ciò discende: a) la necessità di organizzarsi a livello continentale senza cadere nella rete mortale disegnata dalle strutture istituzionali o ideologiche della borghesia (continentali, nazionali o regionali che siano): fuori e contro la statualità del capitale; b) la necessità di inquadrare fin dall’inizio tale passaggio in un più ampio percorso internazionalista.


II. Perché la “Costituzione europea� non poteva che essere così

Mostrare stupore di fronte alle caratteristiche essenziali della “Costituzione europea�, che qui ci siamo sforzati di riassumere solo parzialmente, e invocare il suo “miglioramento�, sarebbe non solo ingenuo ma soprattutto fuorviante e quindi politicamente disarmante. Tali caratteristiche, infatti, non sono che l’espressione coerente del contenuto di classe che contrassegna il “processo di integrazione europea� fin dal suo sorgere. Sarebbe del resto bizzarro pretendere che il processo di formazione di una statualità europea non rispecchi l’insieme dei rapporti sociali di produzione sui quali esso inevitabilmente poggia e quindi gli interessi di classe (economici e politici) che non solo lo muovono e lo dirigono, ma che ne sono all’origine! Le stesse qualità specifiche di tale statualità europea in formazione sono dovute alle relazioni complesse che intercorrono tra dimensione mondiale, continentale e “statuale nazionale� cui abbiamo accennato prima, ovvero al fatto ch’essa si produce in un contesto di interdipendenza mondiale che – fino a quando dura il modo di produzione capitalistico – assume necessariamente la forma di una catena imperialista gravida di contraddizioni esplosive.
Il “il processo di integrazione europea� si afferma fin dall’inizio come soluzione politica attraverso cui la borghesia dei sei paesi fondatori persegue un insieme integrato di obiettivi: a) rilanciare l’accumulazione capitalistica e aprire una prospettiva credibile di competizione su scala mondiale con gli altri paesi imperialisti (in particolare con gli Usa, affermatisi all’indomani della seconda guerra mondiale come potenza imperialista egemone), per far ciò era necessario realizzare un mercato integrato in grado di superare le strozzature che inibivano il rilancio dell’accumulazione nello stesso ambito nazionale e impedivano la realizzazione di quelle “economie di scala� necessarie ad ottenere una efficiente valorizzazione competitiva del capitale (il famoso “fordismo�); b) il rilancio dell’accumulazione – non essendo un fatto “tecnico-economico� e comportando necessariamente l’imposizione alla classe operaia di pesanti livelli di sfruttamento – poteva attuarsi solo attraverso la compressione degli spazi politici e dell’agibilità sociale conquistati dalle forze proletarie (politiche e sindacali) all’indomani della guerra, ciò fu realizzato anche delegando importanti aspetti della gestione politico-economica della fase ad organismi comunitari apparentemente “tecnici� e concertando sul piano continentale il controllo repressivo delle forze politiche e sindacali a base operaia;(16) c) costruire un argine politicamente compatto da contrapporre al “campo socialista�.(17)
Il fatto che il “processo di integrazione europea�, in quanto percorso volto alla costruzione di un polo imperialista autonomo, abbia mostrato un andamento fortemente contraddittorio, in particolare per quanto attiene alle relazioni con gli Usa, non ne inficia il carattere “competitivo� fin dall’inizio. Se infatti gli Usa hanno certamente sostenuto “il processo di integrazione� con l’obiettivo (condiviso dai governi dell’Europa occidentale) di arginare l’avanzata delle forze proletarie sul continente e rivitalizzare l’economia europea al fine di esportare la sovracapacità produttiva e l’eccedenza di capitali ereditate dallo sforzo bellico (cfr. la Scheda 1 in Appendice), ciò non toglie che le borghesie dei sei paesi fondatori delle Comunità, pur tenendo conto dei nuovi rapporti di forza, considerarono fin da allora il “processo di integrazione europea� come l’unica strada percorribile per ricostruire una propria autonomia concorrenziale sul piano economico, politico e anche militare. E’ in quest’ottica che vanno spiegati fenomeni come il fallimento dei progetti di “integrazione� considerati troppo strettamente legati all’egemonia Usa (rifiuto francese della Comunità Europea di Difesa nel ‘54), o lo sviluppo del “processo di integrazione europea� in un senso non gradito alle amministrazioni Usa (con l’istituzione di una “unione doganale� anziché di una semplice “zona di libero scambio�).(18)
E’ quindi chiaro che se la competizione interimperialistica è stata frenata per molti anni da fattori economici (la relativa debolezza del potenziale economico europeo) e da fattori politici (la necessità di contrapporre un blocco imperialista al “campo socialista�), tali fattori hanno ormai da molto tempo smesso di giocare un ruolo determinante. Il punto di svolta, ancor più che il “crollo del socialismo reale�, può considerarsi la crisi capitalistica apertasi all’inizio degli anni ’70 e tutt’ora irrisolta. Questa, inasprendo la competizione economica mondiale, ha prodotto (e nel suo ulteriore procedere tutt’ora produce) importanti accelerazioni del “processo di integrazione europeo�. Alla sospensione della convertibilità del dollaro in oro (fine del regime di Bretton Woods, agosto 1971), la borghesia europea risponderà prima con il traballante Serpente monetario europeo (aprile 1972) – che darà vita all’area del marco – e successivamente con il Sistema Monetario Europeo (dicembre 1978), aprendo in tal modo una competizione per aree valutarie, di cui l’istituzione dell’euro rappresenta la naturale evoluzione. Ma, più in generale, tra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli anni ’80 prese corpo, pur non senza contraddizioni (in particolare a causa del ruolo giocato dall’Inghilterra e dalla “relazione speciale� di questa con gli Usa, ma anche a causa della “instabilità� prodotta dai successivi “allargamenti� dell’Unione), un complessivo rilancio dell’“integrazione europea�, e si avviò un lungo percorso che sfocerà prima nella firma dell’Atto Unico Europeo (1986) e successivamente nella firma del Trattato di Maastricht (1992).
Il procedere della crisi rappresenta il contesto all’interno del quale si definirono nuovi livelli di competizione tra capitali (e monopoli) su scala planetaria, un contesto di crisi che vide l’emergere di numerose “risposte� competitive: l’affermarsi della “sfida giapponese�, l’avvio di un nuovo processo di centralizzazione e ridefinizione produttiva del capitale a base statunitense (con la conseguente ridefinizione della politica estera) e il rilancio dell’“integrazione europea�. Quest’ultimo fu espressione dell’affermarsi (nonostante le numerose differenze tra gli Stati dell’Europa occidentale e all’interno di ciascuno di essi) di un “interesse generale� della borghesia imperialista europea (nella definizione del quale incidono i rapporti di forza tra diversi capitali e Stati europei), un “interesse generale� che fu per la prima volta tradotto in una concreta progettualità politica ed economica, finalizzata a reggere la competizione mondiale tra capitali e a giocare un ruolo nella complessiva ridefinizione della divisione internazionale (imperialista) del lavoro innescata dalla crisi.
L’obiettivo perseguito sul lungo periodo non fu più solo quello di rilanciare l’accumulazione in ambito nazionale attraverso la semplice “integrazione� commerciale continentale e l’approvvigionamento comune di materie prime (come negli anni ’50-’60), ma quello di costruire un vero e proprio “mercato interno�, spingendosi fino alla realizzazione di una moneta unica continentale. Non si trattò di un semplice riadeguamento della sovrastruttura politica (lo Stato nazionale) alla struttura “economica� (l’internazionalizzazione della produzione), come vorrebbero coloro che, in preda al meccanicismo più rozzo (e antimaxista), astraggono dalla determinazione operata dai rapporti sociali di produzione nella loro dimensione mondiale, finendo inevitabilmente col percepire la nuova statualità europea in formazione come qualcosa di meramente tecnico, socialmente “neutro� e perciò utilizzabile da tutte le classi (come se esistesse “l’economia� senza il capitale! – cfr. la Scheda 2 in Appendice). Si trattò, piuttosto, di originare e sostenere un processo di concentrazione/centralizzazione dei capitali sul piano continentale in grado di realizzare quella massa (non solo di capitalizzazione, ma anche dimensionale, organizzativa e di conoscenza) necessaria affinché il capitale monopolistico-finanziario europeo (e con esso tutta la borghesia) rafforzasse le proprie postazioni e acquisisse un’efficace proiezione competitiva “all’esterno�. Un processo lento, contraddittorio e tutt’ora in corso. Gli stessi “Parametri di Maastricht� (1992) e il famoso “Patto di Stabilità� (1997) sono da considerarsi come la definizione di standard continentali comuni volti ad impedire che la concentrazione/centralizzazione del capitale e la nuova divisione “continentale� del lavoro siano turbati da ingerenze “politiche� o da preoccupazioni “sociali� (cfr. la Scheda 3 in Appendice). In un contesto di crisi e competizione interimperialistica (rapporti sociali di produzione), poiché l’ulteriore valorizzazione del capitale è ottenibile solo attraverso l’ulteriore sfruttamento dei lavoratori (plusvalore), il progressivo affermarsi di tale dinamica (che, tra l’altro, si giova di uno spazio libero a livello continentale architettato in maniera tale da impedire che l’“integrazione economica� produca una perequazione verso l’alto dei differenziali salariali, differenziali che invece sono riprodotti e sfruttati per realizzare profitti maggiori – cfr. la Scheda 4 in Appendice), si traduce necessariamente nell’imposizione di condizioni di vita e di lavoro peggiorative per tutti i proletari che vivono sul continente.
Inoltre, la competizione interimperialistica comporta inevitabilmente che i diversi poli imperialisti “competano� anche nel creare migliori condizioni per la valorizzazione del capitale e quindi – necessariamente – nello sfruttare di più e “meglio� il proletariato al loro interno (in ogni settore economico, incluso il cosiddetto “terziario�), nel realizzare cioè quelle condizioni che rendano il proprio territorio più “attraente all’imprenditorialità� (per usare le parole della Commissione). E’ in tal modo che si spiega perché ogni passo avanti realizzato nell’“integrazione�, ogni campo di attività man mano attribuito alle istituzioni dell’Unione, sia inevitabilmente accompagnato da un indirizzo politico antiproletario, dall’annullamento preventivo di ogni “controllo democratico� e dalla “tecnicizzazione� di decisioni che invece sono tutte politiche (rendendo possibile quell’“effetto ottico� ottundente che trasforma le immanenti esigenze di valorizzazione del capitale in attributi ideologici “neoliberisti� dell’Unione o della “Costituzione�).
Porre il giusto accento sulla determinazione operata dai rapporti sociali di produzione significa comprendere che tale dinamica non è arrestabile, poiché non è il frutto della “Costituzione europea� o il parto di qualche cattivone neoliberista, ma è una dinamica immanente al modo di produzione capitalistico: per fare “un’altra Europa� ci vuole “un altro modo di produzione�. E’ quindi evidente che vagheggiare una fantomatica “Europa sociale� non significa altro che annebbiare la coscienza del proletariato e spingerlo a schierarsi con il “proprio� imperialismo e contro i propri interessi di classe, poiché la competizione globale tra capitali spinge e spingerà inevitabilmente la borghesia europea ad operare continue ristrutturazioni, ad incrementare il plusvalore estratto e in generale i livelli di sfruttamento, a ridurre i diritti dei lavoratori (precarietà), a fomentare una nuova concorrenza territoriale tra lavoratori, a restringere i residui “spazi di democrazia�, ecc.
Pur nelle mutate condizioni, una certa problematicità nella lettura delle relazioni intercorrenti tra i poli imperialisti permane tutt’ora. Tre fattori sono a tal proposito da prendere in considerazione: a) il fattore principale deriva da quanto detto più sopra a proposito della collocazione già assunta dal singolo Stato membro (imperialista) nel quadro della internazionalizzazione del capitale (catena imperialista), poiché, a causa della consolidata proiezione planetaria del capitale a base Usa (sia economica che politica), tale collocazione spesso configura forme di alleanza (temporanea e precaria) con quest’ultimo, finalizzate ad assumere una portata mondiale per suo tramite. Tuttavia, man mano che l’Unione sarà in grado di soddisfare anche questa “esigenza� ridefinendo e armonizzando l’insieme delle relazioni mondiali tra capitali a base “europea� (un processo lungo), e dotandosi anche di un’autonoma capacità politico-militare, è inevitabile che si produca un inasprimento delle contraddizioni interimperialistiche (come sta già avvenendo); b) non bisogna inoltre dimenticare che quando si tratta di fronteggiare la classe proletaria persino i poli imperialisti contrapposti possono esprimere una tendenza “unitaria� (sempre precaria e temporanea, le relazioni storicamente intercorse tra Usa e Ue sono esempi evidenti), i capitalisti, «che si comportano come dei falsi fratelli quando si fanno concorrenza», agiscono tuttavia uniti «nei confronti della classe operaia nel suo complesso» (Marx); c) infine, più in generale, c’è da prende in considerazione il fatto che la borghesia europea assume posizioni concilianti e di basso profilo in quei settori (tendenzialmente sempre meno numerosi) in cui la forza del rivale statunitense è ancora troppo superiore. Potremmo a tal proposito citare le evoluzioni subite dai complessi rapporti intercorrenti tra Ue e Nato, una complessità che dimostra concretamente come lo “sviluppo ineguale� delle capacità milit

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08 mai 2005
lo “sviluppo ineguale� delle capacità militari incida sulle relazioni interimperialistiche e ne spieghi in parte la difficoltà di lettura.

Conviene infine chiarire che anche le caratteristiche sostanzialmente reazionarie manifestate fin dal suo sorgere dall’Unione Europea e brillantemente sviluppate/codificate dalla “Costituzione�, non configurano un “deficit democratico� da colmare, ma esprimono in forma perfezionata una proprietà intrinseca dello Stato nella fase dell’imperialismo, proprietà di cui abbiamo già fatto esperienza osservando le evoluzioni subite dallo Stato a livello nazionale nell’ultimo secolo. L’unica differenza è che nel caso dell’Unione Europea il rispecchiamento dei rapporti sociali di produzione nella sovrastruttura giuridico-statuale si realizza fin dall’inizio sulla base del moderno capitale monopolistico-finanziario, sulla sua capacità di ricomporre attorno a sé le altre frazioni della classe dominante e sulla sua collocazione nel contesto delle contraddizioni mondiali tra capitali e tra classi. Le qualità specifiche di contenuto sociale dell’attuale fase dell’imperialismo, non possono che plasmare la stessa architettura istituzionale proposta dall’Unione: un’architettura attraverso cui quel progressivo restringimento degli “spazi di democrazia� già abbondantemente attuato a livello “statuale nazionale�, si realizza senza ostacoli e fin dall’inizio in ambito “europeo�, poiché l’esigenza di esercitare un potere più diretto, più accentrato, più oppressivo e di affrontare senza intralci le contraddizioni mondiali connesse alla internazionalizzazione del capitale stesso, è recepita nella sovrastruttura statuale fin dall’inizio e senza le vischiosità derivanti da rapporti di forza tra le classi ormai obsoleti (ogni ridefinizione del capitale realizza – in un unico movimento – una complessiva ridefinizione delle condizioni di riproduzione delle classi sociali e dello Stato). Il risorgere, a proposito delle nuova statualità europea, delle già sperimentate ipotesi di “contaminabilità�/“permeabilità� o di “utilizzo alternativo� dello Stato da parte delle classi subalterne, ipotesi che in ambito “statuale nazionale� si sono rivelate nient’altro che amarissime illusioni, è quindi da considerarsi pura farneticazione, astrazione soggettiva priva di contenuto reale. Se, infatti, si sono rivelate non “utilizzabili�/“modificabili� sia le costituzioni borghesi redatte in seguito alle rivoluzioni democratiche del Settecento e dell’Ottocento sia, molto più recentemente, quelle redatte in seguito a forti mobilitazioni della classe operaia, ritenere di poter “utilizzare�-“modificare�-“permeare�-“contaminare� una “Costituzione europea� predisposta fin dall’inizio per dominare più direttamente il proletariato e asservirlo più efficacemente alle esigenze di valorizzazione di un capitale in crisi, è davvero da babbei!


III. Che fare?

Da quanto abbiamo detto finora dovrebbe risultare evidente che il “processo di integrazione europea� impone – ai comunisti, al variegato mondo dei movimenti e ai proletari che ogni giorno lottano per difendere/migliorare le proprie condizioni di vita e di lavoro – nuovi compiti e nuovi doveri.
Non accorgersi che tale processo ha trasformato e sta trasformando l’insieme delle condizioni nelle quali oggettivamente si collocano la nostra pratica politica e le nostre lotte (anche quelle che vivono negli ambiti più “locali�), non acquisire coscienza di questo dato oggettivo, significa solo continuare ad accumulare ritardi politicamente paralizzanti, significa subire l’iniziativa politica, economica e repressiva che i padroni – pur tra mille contraddizioni e mediazioni – stabiliscono e dirigono ormai a livello continentale.
Proprio dal fatto che l’Unione Europea si sia affermata come la specifica forma politico-statuale attraverso cui la borghesia del continente impone i suoi interessi e le esigenze del capitale nell’attuale contesto economico mondiale, ne discende che il potere politico effettivo sia ormai esercitato a partire dalla dimensione continentale.
Non si tratta di una “opinione�. La riarticolazione dell’esercizio del potere politico a partire dalla nuova dimensione statuale continentale è già una condizione oggettiva, concreta e tangibile. Attraverso una vasta gamma di atti giuridicamente vincolanti (regolamenti, direttive, decisioni, giurisprudenza della Corte di Giustizia, ecc., la cui portata effettiva viene ulteriormente sviluppata dalla “Costituzione�), l’attività quotidiana dell’Unione Europea investe già, con un’influenza determinante e crescente, settori che vanno dalla politica monetaria (accentrata nella Banca Centrale Europea) al mercato del lavoro, dalla politica industriale e commerciale alla legislazione in materia di immigrazione, dalla politica dell’ambiente alla ricerca scientifica e tecnologica, dall’istruzione alla politica energetica, ecc.; l’Unione ha già istituito una struttura giudiziaria continentale (Eurojust, Mandato di Arresto Europeo), un Ufficio Europeo di Polizia (Europol), una politica repressiva comune (“Black List�), uno stato maggiore per la pianificazione/direzione delle attività militari all’estero, un’Agenzia europea per l’approvvigionamento degli armamenti e il sostegno all’industria militare, ecc.
Il livello di “integrazione� raggiunto è ormai tale che gli stessi provvedimenti degli Stati membri possono essere compresi e analizzati solo inquadrandoli nel contesto della nuova statualità europea in formazione. Di conseguenza, anche le lotte proletarie e le mobilitazioni che a tali provvedimenti si oppongono – per non perdere di incisività ed efficacia – sono poste dinanzi alla necessità di travalicare l’ambito “statuale-nazionale� per assumere quello continentale. Non bisogna dimenticare che il ciclo di lotte avviatosi in molti paesi europei all’indomani della firma del Trattato di Maastricht (1993-1997), ha già ampiamente dimostrato che anche la semplice difesa dei diritti conquistati dal movimento operaio grazie a decenni di lotte (cioè l’unica cosa che abbiamo da difendere del cosiddetto “Stato sociale�) risulta depotenziata e svuotata se non è consapevolmente articolata su scala europea.
La prima risposta alla domanda “che fare?� non può quindi che essere: uscire dal localismo. Dinanzi al mutarsi delle condizioni politiche prodotto dalla “integrazione europea�, il compito dei compagni che vivono, lavorano e lottano in Europa, non può essere quello di invocare (ciascuno per conto suo) “un’altra Europa� dai vaghi contorni, di implorare una fantomatica “Europa sociale�, né tanto meno di rimpiangere lo sfruttamento e l’oppressione statuale-nazionale. Il nostro primo compito dev’essere, piuttosto, quello di incominciare a colmare il deficit di conoscenza, di analisi, di collegamenti, di dibattito, di comunicazione e – soprattutto – di pratica comune, che abbiamo accumulato nel corso degli anni a fronte dei progressi realizzati dalla “integrazione europea� dei padroni.
Per procedere in questa direzione, è necessario spingersi oltre lo “scadenzismo� dei pur importanti controvertici e campagne di mobilitazione: è necessario avviare un lavoro sistematico finalizzato alla realizzazione di reti di movimento a livello europeo, forme stabili di coordinamento tra compagni, percorsi realmente condivisi di mobilitazione e controinformazione… per provare a trasformare l’Europa in uno spazio di ricomposizione delle lotte contro la precarietà, lo sfruttamento e l’imperialismo, uno spazio a partire dal quale rilanciare la costruzione di un nuovo internazionalismo proletario.
Ogni ulteriore risposta, se vorrà essere efficace e non velleitaria, non potrà che discendere da un tale lavoro collettivo tutto ancora da avviare. E’ per questo che, in conclusione, ci limitaimo ad alcune proposizioni generali e riassuntive, senza avere l’ambizione di farne discendere una progettualità politica immediata (che però è assolutamente necessario costruire):
a) quanto realizzato finora dal “processo di integrazione europea� è da considerarsi nella sostanza irreversibile, la ridefinizione della sovranità in materie come la politica monetaria e la stessa esistenza di una moneta unica, rendono irrealistica la prospettiva di una reversibilità del “processo di integrazione europea�. Ciò nonostante la formazione di una nuova statualità europea va ancora considerata come un processo, un processo contraddittorio con avanzamenti relativi e relativi arretramenti, ma irreversibile nelle sue determinazioni essenziali;
b) la critica di classe del “processo di integrazione europea� (e la costruzione di tale critica) è intrinsecamente e inconciliabilmente contrapposta a tutte quelle posizioni politiche che vagheggiano un “ritorno� alla dimensione “statuale nazionale�. Posizioni del genere, oltre ad essere profondamente reazionarie (anche quando pretendono di individuare lo Stato nazionale come unico “contenitore� “democratico� possibile), mirano: i) a spingere il proletariato nelle mani dei suoi aguzzini, legandolo a quelle frazioni e/o settori della classe dominante che ritengono di essere svantaggiati nella redistribuzione dei poteri e dei vantaggi economici derivanti dal “processo di integrazione�; ii) a rinchiudere il proletariato in un nuovo localismo impedendo ch’esso – seguendo i suoi reali interessi di classe e quindi attestandosi politicamente sul livello raggiunto dalla contraddizione forze produttive/rapporti sociali di produzione – sviluppi la propria autonomia e la necessaria coscienza internazionalista;
c) da ciò non discende che l’Unione Europea debba considerarsi “comunque un progresso�: una posizione del genere, infatti, se da un lato occulta il contenuto di classe che pervade l’Unione fin nell’architettura istituzionale (determinazione dei rapporti sociali di produzione) – “dimenticando� che la categoria di “progresso� possiede significati diversi a seconda della classe sociale che la utilizza – dall’altro mira anch’essa a privare il proletariato della propria autonomia, schiacciandolo in un nuovo “nazionalismo europeo� e puntando a far sì che, nel procedere sempre più accelerato delle contraddizioni interimperialistiche, esso si schieri con il nuovo imperialismo europeo, cioè, di nuovo, contro i propri interessi di classe e la coscienza internazionalista che da questi necessariamente deriva;
d) dall’affermarsi di una nuova forma di statualità di dimensioni continentali discende piuttosto: i) la necessità di incominciare a sviluppare forme di coordinamento stabile a livello continentale, tra compagni/e, lotte e realtà proletarie, fuori e contro la rete mortale disegnata dalle strutture istituzionali e ideologiche dei padroni: sovranazionali, continentali, nazionali o regionali che siano; ii) la necessità di inquadrare, fin dall’inizio, tale passaggio in un più ampio percorso internazionalista.



Appendice


Scheda 1 – Piano Marshall e contraddizioni interimperialistiche

Tra il 1942 e il 1944, il governo statunitense spese un totale di 306 miliardi di dollari dell’epoca, cioè quasi il doppio di tutta la spesa sostenuta dal governo federale dalla fondazione della Repubblica fino al 1932. La gran parte di queste risorse fu investita nella creazione di nuovi impianti industriali per la produzione bellica, tanto da giustificare l’idea che una nuova struttura produttiva fosse stata costruita accanto a quella già esistente. E’ chiaro, quindi, che al termine della guerra si creasse il problema di trovare nuovi strumenti in grado di garantire la valorizzazione di un capitale di proporzioni ormai gigantesche. Da qui l’impegno degli Usa sia in favore della ricostruzione europea (Piano Marshall), sia in favore di un sistema commerciale e monetario internazionale fondato sul libero scambio (Gatt e Bretton Woods), al fine di garantire l’esportazione dell’enorme capitale eccedente e l’accesso alle materie prime.
Conviene, inoltre, ricordare che la creazione di un sistema commerciale mondiale improntato al libero scambio pose gli Usa in contrasto con gli interessi dei paesi imperialisti europei, anche di quelli che avevano vinto la guerra (in particolare Francia e Inghilterra). Questi ultimi, infatti, attraverso le loro colonie, si giovavano di preferenze e rapporti di scambio privilegiati, in difesa dei quali ingaggiarono una nuova “battaglia economica�, proprio con gli Usa: per quanto riguarda il Regno Unito, il dissesto finanziario, le stesse caratteristiche della struttura produttiva, la necessità di assicurarsi comunque e in ogni caso una “presenza internazionale� e gli ingenti “aiuti condizionati� già concessi dagli Usa, faranno prevalere la tendenza all’accordo (non privo di aspre contraddizioni) con la nuova potenza egemone, l’unica in grado di garantire un’effettiva e completa proiezione mondiale; non così sarà per la Francia, che si contrapporrà ripetutamente e nettamente alla politica internazionale statunitense. Non vi fu, quindi, nessuna armoniosa comunità d’intenti: il collante antisovietico e anticomunista celava, già nell’immediato dopoguerra, aspre contraddizioni interimperialistiche tra gli stessi alleati.
In proposito, è anche il caso di non dimenticare alcune importanti vicende storiche, come ad esempio (a titolo esemplificativo e non esaustivo): la crisi di Suez del ’56, il fenomeno del “gaullismo�, l’aspra contrapposizione tra governo inglese e governo statunitense proprio nel corso della conferenza di Bretton Woods del 1944 (ovvero a guerra non ancora conclusa). In quest’ultima occasione, il sostanziale prevalere delle posizioni espresse dal governo statunitense sancì, anche sul piano simbolico, la fine della lunga supremazia inglese nell’economia capitalistica mondiale. Nel 1867, Marx scriveva: «di fronte alla vecchia regina dei mari [l’Inghilterra] si erge sempre più minacciosa la giovane repubblica gigantesca [gli Stati Uniti]» .


Scheda 2 – il revisionismo, lo Stato e la “globalizzazione�

Quello di considerare lo Stato unicamente come espressione delle esigenze della “produzione� astrattamente intesa, e non del dominio che su questa esercitano i rapporti sociali capitalistici (proprietà privata dei mezzi di produzione, valorizzazione del capitale, ineliminabile molteplicità dei capitali) è un vecchio vizio del revisionismo, giacché dal considerare lo Stato come qualcosa di “neutro� e utilizzabile da tutte le classi sociali, ne discende inevitabilmente l’abbandono della tesi marxista circa la necessità che il proletariato spezzi l’apparato dello Stato capitalistico: «la classe operaia non può impossessarsi puramente e semplicemente di una macchina statale già pronta e metterla in moto per i suoi propri fini» (Marx), «la classe operaia deve spezzare, demolire, la “macchina statale già pronta�, e non limitarsi semplicemente ad impossessarsene» (Lenin).
Il medesimo errore di fondo, sempre apologeticamente interessato, è alla base di talune teorie (di kautskiana memoria, ma recentemente tornate di moda) secondo le quali “nell’era della globalizzazione� scomparirebbero (o sarebbero in qualche modo superabili) le contraddizioni interimperialistiche; in questo secondo caso si “dimentica� che l’internazionalizzazione dei processi produttivi – fino a prova contraria – è ancora dominata dai rapporti sociali di produzione capitalistici, con tutto ciò che da questo dominio deriva (sfruttamento, contraddizioni interimperialistiche, guerre, devastazioni ambientali, ecc.).
Tuttavia, tali tesi sono costruite proprio con l’obiettivo – consapevolmente perseguito – di occultare, nascondere o abbellire il dominio esercitato dal capitale, affinché non si lotti contro di esso; i loro sostenitori, proprio come il vecchio Kautsky, fingono di dimenticare che per realizzare l’enorme potenziale emancipativo (per il proletariato e l’umanità) insito nella socializzazione mondiale dei processi produttivi e nello sviluppo delle forze produttive, è necessario liberare entrambe dal capitalismo e assoggettarle al consapevole “controllo comune� di tutta la società. E’ il capitale la causa delle guerre, dell’oppressione, delle devastazioni, dello sfruttamento, ecc., non la cosiddetta “globalizzazione�.
«Il periodo storico borghese ha creato le basi materiali del mondo nuovo: da un lato, lo scambio di tutti con tutti, basato sulla mutua dipendenza degli uomini, e i mezzi per questo scambio; dall’altro lo sviluppo delle forze produttive umane e la trasformazione della produzione materiale in un dominio scientifico sui fattori naturali. L’industria e il commercio borghesi creano queste condizioni materiali di un mondo nuovo alla stessa guisa che le rivoluzioni geologiche hanno creato la superficie della terra. Quando una grande rivoluzione sociale si sarà impadronita delle conquiste dell’epoca borghese – il mercato del mondo e le forze di produzione moderne – e le avrà assoggettate al controllo comune, solo allora il progresso umano cesserà di assomigliare a quell’orribile idolo pagano che non beveva il nettare se non dai teschi degli uccisi» (Marx).


Scheda 3 – centralizzazione del capitale in Europa

Ogni singola tappa del percorso di rilancio dell’“integrazione europea� ha coinciso con un’eccezionale ondata di fusioni e acquisizioni tra imprese. Nella seconda metà degli anni ’80 (in particolare dopo la firma dell’Atto Unico Europeo) il totale delle fusioni e acquisizioni che interessarono almeno una delle mille aziende più grandi della Comunità Europea si quadruplicò repentinamente, mentre la quota delle fusioni e acquisizioni “comunitarie� (cioè quelle realizzate tra imprese europee) sul totale, passò dal 18,7% del 1984 al 41,3% del 1990.
Negli anni 1991, 1992, 1993, l’eccezionale ritmo di fusioni e acquisizioni subì un rallentamento, stabilizzandosi tuttavia ad un livello molto più alto che nel passato. A ridosso del varo della moneta unica si assistette ad una nuova, eccezionale, ondata: il numero delle fusioni e acquisizioni “comunitarie� passò da 1264 nel 1991 a 2548 nel 2000, il valore delle operazioni passò dai 22,8 miliardi di euro del 1991 ai 330,7 miliardi del 2000 (dopo aver toccato il picco di 547,9 miliardi di euro nel 1999). Una crescita del valore delle operazioni più che proporzionale rispetto al numero delle operazioni stesse, indica le gigantesche dimensioni ormai già raggiunte dal processo di centralizzazione del capitale. Nello stesso periodo, anche le operazioni “internazionali�, quelle che cioè interessarono almeno un’impresa “non comunitaria�, subirono una vera e propria esplosione (il numero delle operazioni passa da 1548 a 4247, il valore da 35,4 miliardi a 596,4), a testimonianza e conferma delle complesse e immediate relazioni tra “interno� ed “esterno� (tutti i dati sono tratti da elaborazioni della Commissione Europea).
Negli studi della Commissione, il processo di concentrazione/centralizzazione monopolistica del capitale su scala continentale è stato spesso espresso con il concetto mistificante di «dimensione minima tecnicamente efficiente» (efficiente, in realtà, per massimizzare i profitti, sfruttare i lavoratori e competere su scala mondiale). Il concetto di “concorrenza� ha invece subito una reinterpretazione chiarificatrice, tra l’altro incompatibile con quanto ancora oggi è propinato dalla manualistica universitaria, citiamo testualmente: «L’integrazione europea dovrebbe così contribuire all’emergere di un circolo virtuoso di innovazione e concorrenza – la concorrenza provoca le innovazioni che a loro volta dovrebbero accrescere la concorrenza. Ciò non vuol dire che la forma desiderata di concorrenza corrisponde al modello teorico e semplificato della concorrenza perfetta. Il rapporto fra concorrenza e innovazione non è lineare, anzi esiste un livello ottimale di concorrenza al di là del quale la concorrenza ha un effetto inverso sulle innovazioni a causa della difficoltà di distribuire i profitti e gli aumentati rischi che si generano in mercati altamente competitivi. La struttura di mercato ottimale dal punto di vista dell’innovazione dovrebbe piuttosto sviluppare una competizione strategica tra un numero limitato di imprese» (Commissione delle Comunità Europee, The economics of 1992, in European Economy, n. 35, marzo 1988). La “concorrenza� da realizzarsi su scala continentale è quindi fin dall’inizio pensata come una “concorrenza� «tra un numero limitato di imprese», tra monopoli, né del resto potrebbe essere altrimenti, poiché la fase atomistico-concorrenziale del capitalismo è da tempo tramontata per lasciare il posto alla fase imperialistica.
Resta solo da rimarcare che, di conseguenza, le politiche di “tutela della concorrenza� (ovvero l’“Antitrust�) non riguardano minimamente la “tutela dei consumatori� (come sostiene la propaganda di Stato), ma sono volte a realizzare condizioni di mercato che sul lungo periodo generino quel “giusto mix� necessario per incrementare i profitti e la “competitività� mondiale del capitale monopolistico-finanziario europeo (e ricompattare attorno a questo gli interessi di tutta la borghesia).


Scheda 4 – “allargamento ad Est� e differenziali salariali

Il cosiddetto “allargamento ad Est� è l’esempio più macroscopico degli effetti perseguiti dal capitale attraverso una regolamentazione differenziale delle condizioni di riproduzione della forza-lavoro che sfrutti lo sviluppo ineguale all’interno del continente (multi-level governance, federalismo, sussidiarietà). I paesi dell’Est che di recente hanno aderito all’Unione, si configurano come un’enorme colonia di sfruttamento estensivo e intensivo della forza-lavoro: salari ridottissimi, orari di lavoro lunghissimi e un’ottima qualificazione della forza-lavoro, consentono di moltiplicare l’estrazione del plusvalore assoluto e relativo, realizzando livelli di supersfruttamento eccezionali.
Al fine di impedire che tale eldorado del capitale si esaurisse rapidamente, è stata decretata la sospensione del diritto alla libera circolazione per i lavoratori dell’Est, rendendo in tal modo impossibile una perequazione verso l’alto dei differenziali salariali e delle condizioni di lavoro, e realizzando una situazione in cui, al contrario, i livelli di supersfruttamento imposti ai lavoratori dell’Est vengono sistematicamente utilizzati dal capitale per precarizzare e ricattare i lavoratori dell’Ovest, operando quindi una loro compressione generale verso il basso (sono di questi mesi gli accordi-capestro “più orario e meno salario� firmati da padroni e sindacati in alcuni stabilimenti europei, soprattutto in Germania).
Era (ed è), quindi, nell’interesse di tutti i lavoratori del continente lottare affinché non fossero (e non siano) lesi i diritti dei lavoratori dell’Est. Era (ed è) nell’interesse di tutti i lavoratori del continente sviluppare un’attiva solidarietà di classe.
Ma la cosiddetta “Confederazione Europea dei Sindacati�, di cui fanno parte tutti i maggiori sindacati europei e alla quale l’Unione Europea elargisce generosi finanziamenti per “europeizzare� il “sistema politico� in senso corporativo (altra caratteristica dello Stato imperialista che si ripropone su scala europea ed è in qualche modo legata alla parola d’ordine dell’“Europa sociale�), ha ritenuto opportuno non organizzare neanche un presidio di protesta, abbandonando al loro destino tutti i lavoratori.

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NOTE:

1) Parlando di differenza qualitativa, intendiamo riferirci al fatto che la nuova statualità europea si realizza in una particolare fase dell’imperialismo (a sua volta definito non come una politica, ma come un particolare stadio del modo di produzione capitalistico). Una fase, quindi, che se da un lato si differenzia enormemente da quella che determinò la nascita degli Stati nazionali (capitalismo preimperialistico), dall’altro possiede delle caratteristiche specifiche che la distinguono anche dalle precedenti fasi dell’imperialismo (di cui rappresenta una semplice evoluzione, una “forma evoluta�). Tali caratteristiche peculiari dell’attuale fase dell’imperialismo (sulle quali qui non ci possiamo soffermare) determinano una nuova e complessa dialettica tra il modo di produzione stesso e la sovrastruttura politico-statuale, l’instaurarsi di una molteplicità di rapporti tra: a) “dimensione economica mondiale� (e le ineliminabili contraddizioni interimperialistiche); b) “dimensione politico-statuale continentale�; c) “dimensione statuale-nazionale� (che non “scompare� affatto).

2) Consiglio dell’Unione Europea, Un’Europa sicura in un mondo migliore, Bruxelles, 25 giugno 2003 (27.06) - 10881/03 - COSEC 3.

3) Consiglio dell’Unione Europea, Obiettivo primario 2010, allegato I alla Relazione della Presidenza sulla Politica Estera di Sicurezza e Difesa, approvata dal Consiglio il 14 giugno 2004, Bruxelles, 15 giugno 2004 - 10547/04 - COSDP 373, PESC 524, CIVCOM 128.

4) Difesa europea, questioni industriali e di mercato, Comunicazione della Commissione, Bruxelles, 11.3.2003 - COM(2003) 113. I contenuti di questo documento avvalorano, tra l’altro, l’ipotesi che stia nascendo un “complesso miltare-industriale� europeo.

5) Se anche, per assurdo, l’Unione Europea scomparisse improvvisamente, l’attuale attacco alle condizioni di vita e di lavoro del proletariato verrebbe parimenti realizzato ad opera di ciascuno Stato nazionale (come del resto già accade da anni).

6) Commissione Europea, Piano d’azione: Un’agenda europea per l’imprenditorialità, Bruxelles, 11.02.2004 - COM(2004) 70 def.

7) Consiglio dell’Unione Europea, Documento di riflessione della Presidenza sui punti chiave, Bruxelles, 4 febbraio 2004 (06.02) - 5881/04 (OR. EN) - COMPET 11. Come si vede, per la borghesia i «punti chiave» riguardano sempre l’estrazione di plusvalore.

8) Ibidem.

9) Commissione Europea, Relazione della Commissione al Consiglio Europeo di primavera: Promuovere le riforme di Lisbona, Bruxelles, 21.1.2004 - COM(2004) 29 def.

10) Ibidem.

11) Ibidem.

12) Ibidem.

13) Ibidem.

14) Ibidem.

15) Se anche, per assurdo, l’Unione Europea scomparisse improvvisamente, il processo di restringimento degli “spazi di democrazia� e di rafforzamento in senso autocratico degli esecutivi avanzerebbe ugualmente in ogni singolo Stato nazionale (come del resto già accade da anni), esprimendosi semplicemente in forme politiche diverse (e altrettanto reazionarie), giacché tale involuzione corrisponde all’esigenze della classe sociale (borghesia) che definisce e domina ogni livello, fase e articolazione della statualità (continentale, nazionale, regionale, locale, funzionale, amministrativa, ecc.). Più in generale, quindi, la “Costituzione europea� esprime (e nello stesso tempo realizza in una forma politica specifica), il processo (già in corso) di ridefinizione degli Stati membri in relazione alle attuali esigenze di valorizzazione del capitale: ogni tentativo di dipingere i singoli Stati nazionali che compongono l’Unione come “più democratici� o meno “liberisti� di quest’ultima, è perciò pura e semplice idiozia reazionaria, infame ideologia nazionalistica camuffata da considerazioni “democratiche� (e dietro le quali si celano interessi di particolari settori e/o frazioni della stessa classe dominante).

16) Non è un caso, ad esempio, che in Italia “scelbismo� e “vallettismo� siano coevi all’avvio della “costruzione europea� e poggino sulle medesime forze politiche. E’ del resto noto che il governo dell’epoca riuscì a svuotare e annullare le conquiste dalla classe operaia anche attraverso la stipula di trattati e accordi internazionali che impegnavano lo Stato in scelte politiche dal chiaro contenuto controrivoluzionario, beffeggiandosi allegramente sia del “controllo democratico� sia dell’art. 11 della Costituzione.

17) Questi tre fattori, pur essendo tutti alla base del comportamento dei sei Stati fondatori, agivano con proporzioni diverse in ciascuno di essi.

18) Gli Stati Uniti attuarono una serie di pressioni diplomatiche affinché tra i paesi europei fosse istituita una semplice “zona di libero scambio� e non un’“unione doganale� (né tanto meno un “mercato interno� che sviluppasse politiche comuni). L’“unione doganale�, infatti, non si limita a prevedere la libera circolazione delle merci tra gli Stati che la compongono, ma crea anche una barriera doganale comune (quindi una politica commerciale comune) e una tariffa esterna che pesa sulle merci provenienti dai paesi che non ne sono membri (quindi anche su quelle provenienti dagli Usa). Tuttavia, più che per le conseguenze economiche prodotte sulle esportazioni statunitensi, il significato politico dell’istituzione di una “unione doganale� tra i paesi europei, è da rintracciarsi nel fatto ch’essa fu realizzata nonostante fosse in contrasto con la politica commerciale attivamente sostenuta dagli Usa.
Sindicato Sindicat